Un film di Roberta Torre che celebra e sviscera il mito di Monica Vitti attraverso la performance di Alba Rohrwacher.
In un panorama cinematografico che spesso si divide tra intrattenimento puro e sperimentazione di nicchia, emerge l’opera di Roberta Torre, “Mi fanno male i capelli”, come un affascinante esercizio di stile, ma anche come un delicato esame della memoria, dell’identità e dell’impatto duraturo della cultura popolare. Il film è un viaggio introspettivo nei meandri della psiche, guidato dal carisma magnetico di Alba Rohrwacher, e sospeso tra realtà e fantasia, molto nel gusto di quelle pellicole indimenticabili in cui Monica Vitti aveva offerto il volto e l’anima.
Nel film, Rohrwacher interpreta Monica, una donna che, soffrendo di un disturbo psichiatrico, perde gradualmente la sua identità per abbracciare quella di Monica Vitti. Questa metamorfosi è alimentata dalla visione ossessiva dei film che hanno reso Vitti un’icona, da “L’Eclisse” a “Deserto rosso”. Le linee di confine tra il personaggio di Rohrwacher e l’indimenticabile diva italiana si confondono, creando un dialogo meta-cinematografico che è tanto un omaggio quanto un’indagine sulla natura effimera dell’identità.
A supportare la performance di Rohrwacher c’è Filippo Timi, che interpreta Edoardo, il marito di Monica. Nel film, Edoardo è una figura tragica che assiste all’erosione dell’identità e della memoria di sua moglie. La sua sofferenza è espressa in modo sottile, ma penetrante, attraverso sguardi e gesti che incarnano l’impotenza di fronte alla trasformazione della persona amata.
“Mi fanno male i capelli” non è solo una celebrazione di Monica Vitti; è anche un trattato sulla fragilità della memoria e sulla permeabilità dell’identità. In un mondo dove siamo sempre più definiti dai media che consumiamo, il film si pone come un avvertimento inquietante: cosa succede quando i fantasmi delle nostre ossessioni culturali iniziano a sostituire la nostra vera essenza?
È facile liquidare “Mi fanno male i capelli” come un mero esercizio di stile o come un tributo cinematografico superficiale. Tuttavia, sarebbe un errore non riconoscere la profondità e la complessità di questo film. L’opera di Roberta Torre non solo rende omaggio a una delle figure più enigmatiche e affascinanti del cinema italiano, ma lo fa in un modo che stimola la riflessione su temi tanto universali quanto profondi: l’identità, la memoria e il potere tanto costruttivo quanto distruttivo della cultura popolare.
Quindi, come suggerisce il titolo, il film è molto più che una semplice storia di capelli che fanno male; è un invito a guardare oltre la superficie, a esplorare le profondità nascoste della psiche umana e, soprattutto, a riconoscere l’inesorabile influenza delle icone culturali nella formazione e deformazione del nostro sé.