In “Cento Domeniche”, Antonio Albanese pone l’operaio al centro della scena, riflettendo sull’identità e le sfide di una classe troppo spesso dimenticata.
Nel fervido contesto della Festa del Cinema di Roma 2023, emerge con forza la voce di Antonio Albanese che, con il suo quinto film da regista “Cento Domeniche”, porta alla luce una storia di vita operaia, di lotta e di speranza, delineando un ritratto intenso e necessario del tessuto sociale italiano. Una pellicola che, ancor prima del suo debutto nelle sale il 23 novembre per mano della Vision Distribution, scalda gli animi e desta curiosità e attese.
La narrazione di “Cento Domeniche” affonda le radici nell’autobiografia: Albanese si fa portavoce di quella che lui stesso definisce la sua “estrazione sociale”, intrecciando ricordi personali e un contesto più ampio di ingiustizia e sopraffazione. La genesi del film trova linfa nella collaborazione con Pietro Guerrera, che Albanese descrive come un fratello, insieme al quale ha plasmato soggetto e sceneggiatura con l’obiettivo di rendere giustizia ai primi, gli operai, troppo spesso relegati agli ultimi posti nella considerazione nazionale.
Attraverso un percorso di studio, incontri e letture, Albanese si immerge nelle dinamiche di un trauma collettivo che diviene dolorosamente individuale: la perdita, la privazione di tutto ciò che si possiede, l’annullamento dell’identità lavorativa e personale. Un dramma, quello del protagonista Antonio – un padre e operaio a cui si sottrae il sogno di un futuro migliore per la figlia – che il regista e attore fa suo, portandolo in scena con l’ausilio di un cast e una produzione descritti come coraggiosi e pienamente immersi nel progetto.
Le parole di Albanese sono un tributo sentito alla comunità che lo ha formato, a quelle storie di sofferenza e coraggio che hanno caratterizzato il tessuto operaio del nostro Paese. Il film si snoda tra sequenze di intensa emozionalità, tra dialoghi che Albanese spera possano diventare emblemi di un cinema che si fa cronista di realtà spesso trascurate, con frasi dal sapore tragico-comico come “Finiremo tutti in fondo a un fondo”, pronunciate in momenti di sconforto ma cariche di una verità che va oltre la finzione cinematografica.
Sandra Ceccarelli, che interpreta l’ex moglie del protagonista, e Liliana Bottone, nel ruolo della figlia, arricchiscono il racconto con le loro esperienze e interpretazioni. Ceccarelli, già compagna di set di Albanese in passato, trova immediata sintonia con l’umanità richiesta dal regista, mentre Bottone, scelta dallo stesso Albanese per un’intesa emersa in precedenti lavorazioni, conferma la forza di un legame emotivo e professionale che trascende lo schermo.
A rendere omaggio al film e a sostenere la sua visione ci sono anche i produttori, tra cui Carlo Degli Esposti di Palomar, che sottolinea l’impossibilità di non realizzare un film dal messaggio così forte e attuale. Dario Fantoni, infine, evidenzia le potenzialità commerciali di un’opera che non solo narra una storia, ma solleva questioni profonde sulla comunità e sulla coscienza collettiva.
In “Cento Domeniche”, Albanese si fa cronista del dolore e della resilienza di un’Italia lavoratrice che non chiede compassione, ma riconoscimento e giustizia. Un messaggio di rispetto e onestà che, nelle parole del regista, può davvero “salvare e cambiare le cose”. Con il suo ultimo lavoro, Albanese non soltanto registra la realtà ma si propone come agente di un cambiamento culturale, ricordandoci che gli operai “non sono gli ultimi ma i primi” e meritano di essere al centro