foto: Riccardo Piccioli

Una chiacchierata con l’attore, Davide di Donatello per Nostalgia, che non ha mai lasciato il suo quartiere, che ha messo il suo mestiere al servizio dell’arte e della periferia e che “viaggia” con Muhammad Ali

Muhammad Ali è tutto. Campione. Rivoluzionario. Politico. Arrogante. Violento. Pacifista. E può diventare tutto, per Francesco Di Leva è rifugio. E’ percorso. E’ materia viva. E’ ispirazione.

L’attore napoletano ne portò in scena lo spirito che percepiva ancora in nuce sotto forma di una panca da allenamento per addominali, inserita con una libera scelta, nello spettacolo teatrale “Il Sindaco del Rione Sanità” di Eduardo De Filippo, sua la regia e suo l’adattamento. Poi divenne il film diretto da Mario Martone e da Di Leva interpretato. Dopo qualche tempo Muhammad Ali è diventato esso stesso un vero spettacolo teatrale. Ci stava già lavorando da qualche anno insieme al suo amico regista Pino Carbone. La piece debuttò al Festival di Napoli per la sezione Sport Opera, riservata alle opere che raccontano lo sport. Giovedì sera, dopo Roma, è stata rappresentata a Parigi, all’Istituto di Cultura Italiana, come uno degli eventi organizzati in attesa delle Olimpiadi, che prenderanno il via il 26 luglio. “Lo spettacolo cambia ad ogni nuova replica, che tale non è – ci racconta Francesco Di Leva – è un viaggio che suggella anche l’amicizia tra me e Pino”.

L’amico che annuisce è Pino Carbone, ha in uscita il suo primo film dal titolo non ancora confermato, Hotel Napoli  e ci espone una sua particolare lettura del grande campione americano dei pesi massimi, ammette: “La piece che portiamo in giro ogni volta che riusciamo,  illumina l’uomo e il campione, lo ritrae in un periodo di ricerca della sua vita quando era già “Muhammad Ali”, ma doveva ancora scoprirlo. Il nostro è un approccio teatrale, non un metodo. Ali è lui stesso la materia viva della rappresentazione.”  In effetti Francesco Di Leva entra ed esce dal personaggio con studiata ma naturalissima abilità. Ora è Francesco, non l’attore ma l’uomo 46enne che porta in scena il suo quotidiano. (Chiama dal palco suo figlio Mario, giovanissimo e talentuoso attore molto apprezzato nella fiction di Rai 1 “Resta con me”, coinvolgendo in diretta il pubblico a sorpresa); ora è il pugile più grande di tutti i tempi che prende a pugni un grosso pelouche evocando il match del ’64 contro Sonny Liston. Ali che si innamora. Ali che racconta di quando guidò la ribellione degli atleti neri. Che ci porta nella sua rivoluzione. Il tutto avviene con grande lucidità, senza confusione di ruoli. “In fondo è anche il mio viaggio personale di artista” – confessa Di Leva.

Nel 2023 hai vinto il David di Donatello per Nostalgia di Mario Martone, come miglior attore non protagonista, interpretando un prete, don Luigi, parroco della Sanità sistema un ring adiacente la sagrestia per aiutare i ragazzi attraverso lo sport. Sei Antonio Barracano ne Il Sindaco del Rione Sanità, ti abbiamo visto ultimamente in Adagio di Stefano Sollima, sei il folkloristico Amodio nella serie Vincenzo Malinconico avvocato d’insuccesso con Massimiliano Gallo. Per citare le ultime cose, a che punto senti di essere della tua vita professionale?

A volte penso che sono gli altri a potermelo dire, come se in elicottero sorvolassero il mio curriculum vitae e vedessero dove mi trovo, cosa ho fatto. Io riesco solo a guardarlo dall’interno, sto vivendo un’evoluzione, sento un cambiamento, molto intimo. Mi sento disposto diversamente verso questo mestiere. Ho interpretato tanti personaggi camorristi ma ho vinto il David nei panni di un ruolo positivo. Agli occhi della gente sembra che tu sia arrivato, ma dentro senti, invece, di essere un’anima fragile. Una cosa è certa: non mi faccio più trattare male, metto me stesso al centro della questione. Il mio mestiere mi porta incertezza, ma ho capito che posso dire anche di no.

Vorresti avere ruoli diversi?

Fare un film da protagonista significa lavoraci almeno per un anno, dedicarsi completamente, per questo ora ho bisogno di fermarmi e sistemare le idee, voglio valutare e scegliere bene. Come protagonista voglio storia, produzione e regia giuste per questo momento della mia vita.

Come interviene “Muhammad Ali” in tutto questo?

E’ il mio rifugio. E’ il tempo per confrontarmi e stare più con me stesso. E’ il percorso che avanza. Sono 7 anni che periodicamente riprendo lo spettacolo e lo porto in giro, per me è anche il metro per valutare la mia evoluzione. E’ la mia oasi di libertà. Chi all’inizio ci aveva creduto ci ha poi abbandonati. Io e Pino non molliamo.

Il campione dei pesi massimi ti è stato di ispirazione già quando interpretasti il personaggio di Antonio Barracano ne Il Sindaco del Rione Sanità, prima in teatro e poi al cinema.

Si, mi sono ispirato ad Ali per immergermi in Barracano, la cui caratteristica è essere un camorrista che cerca di creare una certa forma di giustizia e di risolvere i conflitti. Ho voluto interpretarlo colorandolo con le nuances ‘combattive e in un certo senso politiche’ che hanno caratterizzato la vita del pugile statunitense. Ho deciso di arricchire la scena con una panca per gli addominali dove il Sindaco del Rione Sanità si sarebbe allenato mentre cercava di dirimere le questioni del quartiere. Ho potuto farlo, Luca De Filippo, figlio di Eduardo, mi aveva affidato i diritti dell’opera.

Fare l’attore è un mestiere complicato si parla di clan romani…

E’ argomento che non mi interessa. C’è invece una Napoli che oggi è entrata positivamente a gamba tesa nel cinema nazionale, producendo ottime cose. Dieci anni fa si faceva davvero fatica a fare un’opera prima. Si è visto un percorso politico diverso, Regione Campania, Film Commission hanno investito, registi come Mario Martone, Matteo Garrone e lo stesso Paolo Sorrentino hanno rivitalizzato il cinema made in Napoli. C’è stato un periodo dove ci si era dimenticati che è l’attore a fare la differenza, si sceglieva, per un mero fatto economico, chi costava di meno. Finalmente si è ritornati a capire che è anche l’attore che fa il testo.

Sei un professionista poliedrico, catalogarti è complicato, vivi ancora a San Giovanni a Teduccio e sei sempre stato attento al sociale. L’operazione NEST lo testimonia

Nasco insieme ad un gruppo di attori con Gomorra, la versione teatrale, prima del libro e prima del film. La camorra è sempre stata molto presente nel mio quartiere, cercavo un spazio per me, per farne un teatro per avviare un progetto per gli altri, l’ho trovato in un sito abbandonato dove da piccolo facevo palestra. E’ nato il NEST, un luogo speciale per me e la mia famiglia. Il quartiere è migliorato, almeno sotto un certo aspetto, io resto legato alla mia gente. Negli anni ne abbiamo pensate tante per creare attenzione e promuovere la cultura, come per esempio “il biglietto sospeso”, come si usa fare a Napoli per il caffè. Chi vuole può lasciare un caffè pagato per qualcuno che non può permetterselo. Noi lo facciamo con i biglietti del teatro. Siamo nella pancia della periferia napoletana, ma anche via web chi vuole può acquistare un ticket sospeso.  Non è stata cosa semplice avviare un percorso di educazione che virasse verso un contesto diverso, ma ora il NEST è ufficialmente un teatro perché abbiamo da poco ottenuto la concessione dal Comune di Napoli, è diventato un altro tipo di palestra, formiamo anche figure professionali. Ecco, prima cercavamo noi i ragazzi, ora sono loro che si rivolgono a noi. In zona, Apple ha aperto una Developer Academy insieme all’Università Federico II di Napoli, è un traguardo, qualcosa è davvero cambiato.

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Stasera Muhammad Ali a teatro: la sua Roma dall’oro olimpico al tip-tap

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