Il sole stava tramontando sulla città olimpica, tingendo il cielo di sfumature dorate e arancioni. Nelle strade e nei corridoi del villaggio olimpico, regna un’atmosfera mista di gioia e malinconia. Alcuni atleti festeggiano le loro vittorie, con le medaglie scintillanti al collo, mentre altri fanno i conti con il peso della sconfitta o, come nel caso di Matteo, con quella sensazione sospesa tra orgoglio e delusione.
Matteo, corridore italiano, era arrivato alle Olimpiadi con grandi speranze. Anni di sacrifici, allenamenti sotto la pioggia e il sole, mattine fredde e serate solitarie, tutto per quel sogno: salire sul podio olimpico. Eppure, nonostante avesse dato tutto se stesso in quella gara, il quarto posto era stato il suo risultato. La medaglia, che sembrava così vicina, gli era sfuggita di mano per pochi decimi di secondo.
Ed è forse andata meglio qui che agli Europei di Roma, pochi mesi fa, quando, dopo una falsa partenza, il polpaccio non ha tenuto. Quella volta al traguardo non c’è arrivato, una delusione davanti al suo pubblico.
Ora, nella sua stanza del villaggio olimpico, Matteo sta preparando la valigia per il ritorno a casa. Ogni oggetto che ripone nel bagaglio sembra raccontare una storia. Le scarpe da corsa, ormai consumate e sporche di polvere, sono testimoni delle battaglie che ha combattuto in pista. La divisa con il tricolore, che aveva indossato con tanto orgoglio, ora giaceva piegata con cura sul letto.
Mentre mette via la tuta della nazionale, i ricordi della gara gli affiorano nella mente. Sente ancora l’adrenalina che gli pulsa nelle vene quando si era allineato alla partenza, il battito del cuore che accelera mentre lo sterter segna l’inizio della corsa. Aveva spinto il suo corpo al limite, superato avversari, ma alla fine, quei pochi metri che separavano il podio dal quarto posto si erano rivelati incolmabili.
Matteo si siede sul letto, osservando la valigia ormai quasi pronta. Una parte di lui vuole buttarsi su quel letto di cartone e lasciare che l’amarezza lo sommerga. Ma un’altra parte, più forte, sa che questo non è il momento di arrendersi alla delusione. Il quarto posto non è una sconfitta; è un risultato di cui, nonostante tutto, poteva andare fiero.
Gli mancano pochi giorni al ritorno a casa, dove lo aspettano la sua famiglia, i suoi amici, e tutti coloro che hanno creduto in lui. Sa che molti lo accoglieranno con abbracci, parole di incoraggiamento, e forse, per alcuni, un quarto posto non era abbastanza. Ma per lui, significano molto di più. È la prova che è uno dei migliori al mondo, che ha lottato alla pari con i più grandi.
Chiude la valigia con un sospiro profondo, poi si alza e guarda fuori dalla finestra. La città olimpica sta per spegnersi, ma il ricordo di quelle giornate rimarrà acceso in lui per sempre. E mentre si prepara a lasciare quel luogo, sa che la vera sfida iniziava ora: tornare, rialzarsi, e puntare ancora più in alto.
Matteo prende l’ultimo oggetto rimasto sulla scrivania: un piccolo portafortuna che sua madre gli aveva dato prima della partenza. Lo mette in tasca, sorridendo leggermente. Non ha vinto una medaglia, ma ha guadagnato qualcosa di altrettanto prezioso: la consapevolezza della sua forza e la determinazione a non fermarsi mai.
Con la valigia in mano e il cuore pieno di nuove speranze, Matteo esce dalla stanza, pronto a tornare a casa e a riprendere il cammino verso il suo prossimo sogno.
Arrivederci Parigi, torno da turista.