Affrontare temi come il bullismo e il suicidio giovanile attraverso il cinema o la televisione è una sfida complessa, che richiede una sensibilità estrema. Questi argomenti, oltre a essere delicati di per sé, diventano ancor più difficili da trattare quando si basano su storie reali, come nel caso del tragico racconto di Andrea Spezzacatena, il giovane studente la cui vita è stata segnata dalla crudeltà dei coetanei e dalla disperazione. Raccontare questa vicenda senza cadere nella trappola del pietismo o della retorica è un compito difficile, eppure necessario. Il cinema, con il suo potere di amplificare emozioni e portare consapevolezza, può diventare uno strumento potente per denunciare comportamenti che non dovrebbero mai ripetersi.
Il bullismo, specialmente quello adolescenziale, è un fenomeno pericolosamente diffuso, spesso sottovalutato e minimizzato. Le conseguenze di queste dinamiche sono spesso devastanti e durature, come dimostra la storia di Andrea Spezzacatena. Nel film ispirato alla sua vicenda, diretto da Margherita Ferri e scritto da Roberto Proia, l’autore compie una scelta narrativa significativa: lasciare che sia la voce del ragazzo a raccontare la propria storia, a posteriori, dopo il tragico epilogo della sua giovane vita. La decisione di dare voce al protagonista, proprio come in celebri opere cinematografiche come Amabili Resti o Viale del tramonto, conferisce un forte impatto emotivo al racconto. È Andrea, interpretato magistralmente da Samuele Carrino, a guidare lo spettatore attraverso la narrazione, con una dolcezza disarmante, che rispecchia la sua vera natura.
Uno degli ostacoli più grandi per chi si propone di affrontare questi temi sul grande schermo è evitare l’ovvio rischio di cadere nel pietismo o nella retorica. Il pubblico, già profondamente toccato dalla gravità degli eventi, non ha bisogno di essere ulteriormente strattonato verso un’emotività forzata. Al contrario, la sfida è quella di presentare i fatti in modo autentico, consentendo allo spettatore di riflettere e trarre le proprie conclusioni. Nel film di Ferri, questa sfida viene accolta con delicatezza, mantenendo un tono narrativo che bilancia la compassione con una lucida denuncia delle atrocità del bullismo e delle sue conseguenze più estreme.
La storia di Andrea si sviluppa in una quotidianità apparentemente normale, tra la scuola, la famiglia e gli amici. Dietro questa facciata, si nasconde un inferno personale che solo lui conosce veramente. A scuola, Andrea è vittima di un bullismo subdolo e costante, soprattutto da parte di Christian, un ragazzo tanto bello quanto crudele. La motivazione apparente per gli attacchi dei bulli è banale: un paio di pantaloni che, stinti dalla madre di Andrea, hanno assunto una sfumatura rosa. Ma dietro questo pretesto si cela un malessere più profondo, un’insoddisfazione esistenziale che spinge i carnefici a cercare un capro espiatorio.
Roberto Proia, autore del soggetto e della sceneggiatura, riesce a trasformare un fatto di cronaca tragico in un film che non solo commuove, ma che denuncia con forza la brutalità del bullismo. L’idea di utilizzare il nome della pagina Facebook creata dai bulli per schernire Andrea come titolo del film è una scelta simbolica potente, che rivendica la propria identità artistica e cinematografica. Attraverso questo gesto, il film non si limita a raccontare una storia, ma si posiziona apertamente come un atto di denuncia sociale.
La regia di Margherita Ferri si distingue per il suo tatto. Con una grazia che riesce a evitare il melodramma, la Ferri riesce a raccontare il dramma di Andrea senza indulgere in facili scorciatoie emotive. La macchina da presa si concentra spesso sui volti degli attori, in particolare su Claudia Pandolfi, che interpreta la madre di Andrea, e su Samuele Carrino, il giovane protagonista. Questi primi piani intensi trasmettono un’intimità dolorosa, che fa percepire al pubblico tutta la sofferenza e la confusione interiore dei personaggi.
Samuele Carrino offre un’interpretazione eccezionale di Andrea, riuscendo a rappresentare con naturalezza la complessità di un adolescente che si trova intrappolato tra il desiderio di essere accettato e il dolore di essere respinto. Carrino sa trasmettere con sfumature sottili la vulnerabilità del suo personaggio, rendendo credibili anche i momenti in cui il giovane protagonista cambia età durante la narrazione.
Anche Andrea Arru, che interpreta il bullo Christian, riesce a conferire profondità al suo personaggio. Piuttosto che limitarsi a rappresentare un semplice cattivo, Arru dipinge un ritratto più sfaccettato, mostrando come dietro la maschera del bullismo si celino solitudine e frustrazione. Questo sottotesto di tristezza rende il comportamento di Christian ancora più complesso e, per certi versi, tragico.
Il film di Margherita Ferri si conclude con un simbolo potente: il compleanno di Andrea, il ragazzo che avrebbe avuto 27 anni se non avesse scelto di togliersi la vita. Questa scena finale chiude il cerchio, riportando lo spettatore a riflettere sulle tragiche conseguenze del bullismo, e in particolare del cyberbullismo. La pellicola, con il suo messaggio delicato ma inequivocabile, ci ricorda quanto le parole possano ferire e quanto sia fondamentale educare le nuove generazioni al rispetto e alla gentilezza.
In un’epoca in cui i social media amplificano la diffusione dell’odio e della crudeltà, film come questo sono più necessari che mai. Raccontare storie come quella di Andrea Spezzacatena non è solo un atto di memoria, ma anche un appello urgente a prendere posizione contro il bullismo, in tutte le sue forme.
Oltre alla proiezione in sala, davanti ad adolescenti delle scuole, il dibattito che ne è seguito è stato intenso ed altamente educativo: “Questo film è nato da un’esigenza drammatica: la storia di Andrea Spezzacatena è stato il primo caso di cyberbullismo in Italia e fece molto notizia. Oggi questi fatti continuano ad accadere, come abbiamo visto anche recentemente, non fanno più così notizia e non va bene – spiega lo sceneggiatore Roberto Proia rivolgendosi alla platea composta di ragazzi delle scuole all’Auditorium parco della Musica-. Noi volevamo gettare un faro su questo fenomeno, e rendere onore ad un caduto, Andrea, in una battaglia che stanno combattendo anche molti di voi”.
Un red carpet coinvolgente per la presentazione del film. Oltre a cast, regia e produzione, tutti gli ospiti che hanno sfilato, hanno indossato un riferimento di colore rosa, un inserto, un dettaglio, o talvolta l’intero vestito. Un segnale di coesione e solidarietà anche davanti al pubblico dell’auditorium, assolutamente inclusivo nei generi sessuali binari e non, oltre ai tanti giovani che hanno sfilato con i pantaloni rosa.