Gli insegnò a giocare a tennis a villa Torlonia, nella prima metà degli anni Trenta. E poi fu il suo «uomo di fiducia» a Salò, tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. È la vita accanto al Duce, segreta, insospettabile e sul crinale della spy story, di Eraldo Monzeglio, terzino del Bologna, della Roma e dell’Italia di Vittorio Pozzo con cui vinse i campionati del mondo nel 1934 e nel 1938. Piemontese, fervente fascista ma poi in contatto con la Resistenza, questo difensore grintoso ed elegante è anche un pezzo colossale della storia giallorossa. Da direttore tecnico, imposta la campagna acquisti — sparagnina, efficace — del primo scudetto (1941-1942).
Punta sui giovani, affida l’attacco a uno sconosciuto diciannovenne, Amedeo Amadei, er fornaretto de Frascati, poi centravanti tra i più celebri del calcio italiano. Ma è altro, ciò che conta nella vita di Eraldo. A raccontarlo, è una biografia («Il terzino e il Duce», edita con Solferino Libri) firmata da Alessandro Fulloni, cronista al Corriere della Sera. Sono 336 pagine dove c’è Roma e c’è la Roma. Compare Fulvio Bernardini, leggenda romanista, che si vede revocata la patente dopo che ha tamponato addirittura il Duce. Per far sì che gli venga restituita, Monzeglio (nel dopoguerra sulla panchina di Napoli, Samp e Juve) organizza un «doppio» a tennis con Mussolini e quando, a villa Torlonia, il dittatore si trova davanti il centrocampista romanista, lo prende in giro: «Allora Bernardini, avete imparato a guidare?». Nel libro c’è soprattutto la guerra. Dopo essere stato volontario in Russia, raggiunge Mussolini a Salò, occupandosi di «incarichi speciali». Qui, la sorpresa: grazie a quella vicinanza, salva molte vite, partigiani catturati dai fascisti, ebrei braccati. Tante, le testimonianze, carte inedite e le memorie di celeberrimi giornalisti sportivi, Brera, Caminiti, Ghirelli, Palumbo.
A un tratto, la biografia di Monzeglio vira verso lo spionaggio: da fascista ricercato dai partigiani, arriva ad allenare il Como, tra il 1945 e il 1946, grazie all’intercessione del Comitato di Liberazione Nazionale. È lo snodo decisivo nella vita di Eraldo: c’è stata una trattativa per arrivare a quella panchina? Magari uno scambio, un baratto con documenti segreti della Rsi, la localizzazione dei conti correnti in Svizzera nei quali la famiglia Mussolini aveva nascosto fiumi di contante. Si arriva all’ultima pagina. Ma torna il calcio: Monzeglio, conformista coraggioso e personalità naïf, dal 2013 è nella «Hall of fame» ufficiale della Federcalcio. Con lui nomi leggendari, da Giuseppe Meazza a Paolo Rossi. Tutti in azzurro.
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