Dal 19 al 30 marzo 2025, il palcoscenico romano si accende con Ciarlatani, uno spettacolo scritto e diretto da Pablo Remón, che vede protagonista il magnifico Silvio Orlando, accompagnato da un cast di straordinaria coesione. In scena, solo quattro attori si cimentano in un vertiginoso viaggio attraverso decine di personaggi, spazi e tempi, regalando al pubblico una satira arguta sul mondo del teatro e dell’audiovisivo, ma anche un’intensa riflessione sul successo, sul fallimento e sui ruoli che ciascuno di noi recita, dentro e fuori la finzione.
Ciarlatani è una commedia intelligente, capace di far sorridere e riflettere al tempo stesso, raccontando il dietro le quinte di un universo, quello artistico, che spesso mostra una facciata scintillante ma nasconde fragilità, sogni infranti e compromessi. La storia ruota attorno a due personaggi, tanto diversi quanto legati da un filo invisibile: Anna Velasco e Diego Fontana. Anna è un’attrice la cui carriera sembra arenata. Dopo aver calcato i palchi di piccole produzioni teatrali classiche, si ritrova a insegnare pilates per mantenersi e, nei fine settimana, recita in spettacoli per bambini. Alterna apparizioni in soap opera televisive a ruoli minori in progetti alternativi, sempre in cerca di quel grande personaggio che possa finalmente consacrarla.
Dall’altra parte c’è Diego Fontana, regista affermato di film commerciali, pronto a lanciarsi in una grande produzione internazionale: una serie da girare in tutto il mondo, con un cast di star di richiamo. Ma un incidente lo costringe a fermarsi e a ripensare tutto: la sua carriera, i suoi obiettivi, le sue convinzioni. A unire questi due destini, la figura di Eusebio Velasco, padre di Anna, regista di culto degli anni ’80, scomparso e isolato da tempo, la cui ombra aleggia sulle loro vite come un lascito artistico irrisolto e ingombrante.
La forza di Ciarlatani sta nella sua struttura narrativa. Non è solo uno spettacolo teatrale, ma una vera e propria narrazione polifonica, che unisce linguaggi diversi. Il racconto di Anna si muove con uno stile cinematografico, dove sogno e realtà si confondono, accompagnati da una voce narrante che guida lo spettatore attraverso il labirinto delle sue aspirazioni e disillusioni. La storia di Diego, invece, si sviluppa come un’opera teatrale classica, ancorata a spazi concreti e realistici, dove il regista si trova a fare i conti con la propria vulnerabilità.
A questo doppio binario si aggiunge un terzo livello narrativo, una sorta di parentesi ironica e meta-teatrale: un’autofiction in cui lo stesso autore dell’opera, interpretato sul palco, si difende dalle accuse di plagio. Una pausa comica e provocatoria che invita il pubblico a interrogarsi sulla verità nell’arte, sull’originalità e sui confini tra ispirazione e imitazione.
L’insieme si articola in capitoli parzialmente autonomi, intrecciati in un mosaico narrativo che ricorda più un romanzo che una semplice pièce teatrale. L’ambizione dichiarata di Pablo Remón è proprio questa: creare una narrazione teatrale con un respiro romanzesco e una dimensione cinematografica, capace di muoversi con disinvoltura tra piani temporali diversi e linguaggi artistici differenti.
A rendere tutto ciò possibile è il talento di un cast affiatato, capitanato da Silvio Orlando, che ancora una volta si conferma un gigante della scena, capace di muoversi con naturalezza tra registri comici e drammatici, regalando interpretazioni sfumate e mai scontate. Accanto a lui, i tre compagni di scena attraversano con maestria una galleria di personaggi che appaiono e scompaiono, in un gioco continuo di trasformazioni.