Attualmente 2670 navigator (253 nel Lazio) stanno popolando gli asfittici uffici dei Centri per l’Impiego al fine di trovare collocazione ai beneficiari del Reddito di Cittadinanza (Rdc). La notizia recente è che l’attuale Ministro del Lavoro Orlando voglia esautorare l’etereo Professore, profeta del Mississippi, padre fondatore dei Navigator. Perché? A fronte dei 180 milioni di euro investititi per salari e formazione dei navigator, a Novembre 2020 il 25,7% dei percepenti RdC (1,4 milioni) aveva trovato un posto di lavoro, ma soltanto il 4% del totale aveva sottoscritto un contratto a tempo indeterminato. Questo numero, però, non è da attribuirsi in toto all’effetto dell’opera dei navigator – prime vittime, si anticipa, di questa improvvisata azione governativa. Pertanto, la domande sono: 1) cosa non ha funzionato?, 2) potrebbero servire?, e 3) cosa si può migliorare?.
Cosa non ha funzionato dei Navigator
- Prima l’uovo o la gallina?: in fretta e furia sono state realizzate le (discusse) selezioni per questa nuova figura, poi sono state disegnate le attività da svolgere e, infine, ci si è accorti che non ne avevano gli strumenti per operare, come: una formalizzata banca dati per la ‘caccia’ delle opportunità lavorative (i.e., la mappatura, in carico ai navigator, è iniziata solo ad Ottobre 2020).
- Il fattore tempo: assunti a luglio 2019, operativi dall’inverno 2019 (anche a causa di imbarazzanti disarmonie stato-regione sulle competenze delle politiche attive del lavoro) e con scadenza di contratto ad Aprile 2021. La finestra temporale è davvero troppo corta per rendere efficace un’azione di tale mastodontica portata – l’aggettivo non è riservato solo ai numeri, ma anche alla spesso scarsa professionalizzazione e istruzione di chi è da collocare che non ha facilitato la ricollocazione. Ma questa non è colpa dei navigator, né tantomeno del richiedente RdC.
Infine, La pandemia, c’è da ammettere, non ha aiutato in termini di svolgimento delle attività lavorative e dinamicità del mercato del lavoro per le nuove assunzioni.
Potrebbero servire?
I Centri per l’Impiego, in molte parti d’Italia, funzionano soltanto come certificatori della disoccupazione e scarsa è l’attività di collocazione a causa, soprattutto, del loro sottodimensionamento. Gli 11.600 posti messi da poco a bando per rimpolpare i CpI potrebbero aiutare; in tal senso, ai navigator viene riconosciuta una preferenzialità di assunzione al superamento dei singoli concorsi regionali. Tuttavia, i CpI e le politiche attive per il lavoro hanno bisogno di una seria riforma.
Evidenze da altri programmi in Europa
In Norvegia sono presenti 9 differenti schemi governativi di aiuto all’inclusione lavorativa, i quali sono differentemente orientati: alla (ri)qualificazione delle figure professionali, al training on the job, al sostenimento degli imprenditori che assumono lavoratori provenienti da tali programmi, etc. I risultati di uno studio su 155.000 soggetti aderenti a queste politiche ha mostrato effetti positivi sia in termini occupazionali sia salariali, nel breve e medio-lungo termine. Di eguale ratio e risultati fù il New Deal for the Young Unemployed presente nel Regno Unito (poi sostituito da altri programmi di non dissimile struttura): per i primi 3-4 mesi al disoccupato viene assegnato un mentor che aiuta nella ricerca di lavoro e sono forniti alcuni corsi per lo sviluppo di competenze base (es. utilizzo PC). Se dopo questo primo periodo non si è ancora trovata un’occupazione, allora vi è un inserimento in programmi di sviluppo simili a quelli norvegesi. Anche in questo caso vi sono, in termini occupazionali, risultati positivi in Spagna considerando la capitale Madrid; in particolare, la partecipazione in programmi di sviluppo di competenze ha portato a risultati superiori rispetto alla sola assistenza per la ricerca di lavoro, soprattutto per i disoccupati di lungo corso. Risultato in totale controtendenza a quanto rilevato in Germania, dove il personal counselling sembra portare ad effetti superiori. Da ciò si deriva che il disegno di tali programmi e i differenti contesti socio-economici determinano effetti diversi.
Cosa si può migliorare
- Unite et impera: basta strutture parallele e sovrapposizioni di potere (es. ANPAL-Regioni-CpI). I CpI devono riprendere in mano l’operatività delle politiche attive, questo è un dogma. Se in questo processo si riuscisse a integrare i navigator non si butterebbero del tutto all’aria le risorse finora spese;
- Selezionare bene per orientare meglio: Per partecipare al concorso per gli 11.600 nuovi addetti ai CpI basta il diploma; ai navigator era richiesta una laurea magistrale (in uno di 13 differenti settori). Il disallineamento è evidente e non si capisce qual è la figura che il legislatore ha in mente per queste cruciali attività del Paese. Di sicuro c’è bisogno di persone istruite che abbiano anche nozioni (meglio ancora competenze) di: gestione delle risorse umane, profilazione delle altrui capacità e personalità, diritto del lavoro, intelligenza emotiva, etc. Secondo lo scrivente, queste non si possono ritrovare in un comune diplomato, ma anche gli stessi navigator, a suo tempo, non furono formati in tal senso. I responsabili delle risorse umane nel privato protendono verso queste caratteristiche (o almeno sono stati formati successivamente), non si capisce perché si debba abbassare l’asticella per il pubblico.
- Consulenza e professionalizzazione, poi il matching: il 71% dei percepenti RdC ha soltanto un diploma di scuola media, mentre il 48% ha più di 40 anni di età (vedi qui). L’occupabilità è ardua ed è necessario predisporre, per molti di loro, un percorso di sviluppo di alcune competenze base – a seconda delle predisposizioni. Soltanto in un secondo momento si può ragionare sul ricollocamento nel mondo del lavoro.
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