Il più grande sistema schiavistico che la storia abbia mai conosciuto è quello di Roma antica. Un’intera economia era basata sullo sfruttamento di una “merce” cara e redditizia quanto deperibile: l’essere umano. La società, l’economia e l’organizzazione dell’antica Roma non avrebbero potuto raggiungere traguardi così avanzati senza lo sfruttamento pianificato delle capacità e della forza lavoro di milioni di individui privi di libertà, diritti e proprietà. Basti pensare che stime recenti hanno calcolato la presenza tra i 6 e i 10 milioni di schiavi su una popolazione di 50/60 milioni di individui.
È questo l’argomento che si propone di esplorare la mostra Spartaco. Schiavi e padroni a Roma, ospitata dal Museo dell’Ara Pacis dal 31 marzo al 17 settembre 2017, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura.
L’esposizione è ideata da Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini. La curatela scientifica è di Claudio Parisi Presicce, Orietta Rossini e Lucia Spagnuolo. Ideazione, regia e curatela dell’allestimento visivo e sonoro sono di Roberto Andò, Giovanni Carluccio, Angelo Pasquini, Luca Scarzella e Hubert Westkemper. La curatela della sezione fotografica è di Alessandra Mauro. Produzione audio e video sono a cura di NEO narrative environment operas. Catalogo De Luca Editore.
Grazie a un team di archeologi, scenografi, registi e architetti la mostra restituisce la complessità del mondo degli schiavi nell’antica Roma a partire dall’ultima grande rivolta guidata da Spartaco tra il 73 e il 71 a.C. Divenuto gladiatore, Spartaco fu protagonista della celebre ribellione della scuola di gladiatori di Capua. Raccolse intorno a sé una moltitudine di schiavi, ma anche di poveri e di disperati, che trasformò in un vero esercito, tenendo testa per ben tre anni all’esercito romano. Terrorizzò Roma e il suo establishment, che gli inviò contro le legioni di Crasso, quelle di Pompeo e quelle di Lucullo. Finalmente fu sconfitto e cadde combattendo in armi. Il suo corpo non fu mai trovato, ma 6000 dei suoi compagni di ribellione furono crocefissi sulla via Appia, lungo tutta la strada tra Roma e Capua.
I diversi ambiti della schiavitù ai tempi di Spartaco sono raccontati attraverso 11 sezioni che raccolgono circa 250 reperti archeologici affiancati da una selezione di 10 fotografie. Le opere sono inserite in un racconto immersivo composto da installazioni audio e video che riportano in vita suoni, voci e ambientazioni del contesto storico. Chiudono il percorso i contributi forniti dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, International Labour Organization), Agenzia Specializzata delle Nazioni Unite nei temi del lavoro e della politica sociale, impegnata nell’eliminazione del lavoro forzato e altre forme di schiavitù legate al mondo del lavoro.
I reperti archeologici provengono da 5 musei della Sovrintendenza Capitolina, da molti musei italiani (Museo Civico di Castel Nuovo – Maschio Angioino, Napoli; Fondazione Brescia Musei – Museo di Santa Giulia; Museo Archeologico dei Campi Flegrei, Baia (NA); Museo Archeologico Nazionale, Napoli; Servizio Soprintendenza Beni Culturali ed Ambientali di Messina; Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli; Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps, Terme di Diocleziano e Palazzo Massimo; Soprintendenza Archeologica di Pompei; Gallerie Estensi, Modena; Accademia di S. Luca, Roma e alcuni importanti musei stranieri (Musei Vaticani; Galleria Tretyakov, Mosca; Museo del Louvre, Parigi; Museo Archeologico Nazionale, Madrid; Museo Romano – Germanico, Colonia).
Le 10 fotografie – di Lewis Hine, Philip Jones Griffith, Patrick Zachmann, Gordon Parks, Fulvio Roiter, Francesco Cocco, Peter Magubane, Mark Peterson, Selvaprakash Lakshmanan – che affiancano il percorso espositivo, rappresentano altrettante forti denunce visive, realizzate da maestri della fotografia di documentazione, che in tempi recenti hanno voluto osservare con il proprio sguardo e la propria macchina fotografica alcune forme di schiavismo dell’epoca post-industriale e contemporanea. Ancora oggi, infatti, sono circa 21 milioni gli esseri umani che, secondo stime ufficiali, possono essere definiti vittime della new slavery.
LE SEZIONI
Benché la schiavitù sia esistita da tempi remoti in tutte le civiltà, sono stati i romani a dare vita all’organizzazione di un sistema schiavistico capillare sorto a seguito della conquista di intere popolazioni e territori immensi, che funzionarono come bacino di rifornimento di manodopera schiavile. Senza gli schiavi, motore silenzioso e quasi invisibile dell’impero, difficilmente si sarebbe sviluppato il latifondo a cultura intensiva, il commercio non avrebbe potuto distribuire merci su scala globale solcando numerose rotte, così come l’industria tessile, le fabbriche dei laterizi, la produzione industriale della ceramica e le imprese estrattive di cava e di miniera non avrebbero potuto far fronte ai consumi delle grandi concentrazioni urbane sorte intorno al Mediterraneo. Persino il settore divertimento e tempo libero – teatro, circo e terme – non avrebbe potuto sopravvivere senza una larga percentuale di lavoro schiavile.
Il percorso si snoda attraverso undici sezioni, a partire da Vincitori e vinti, in cui si racconta l’età delle conquiste e la riduzione in schiavitù di decine di migliaia di vinti in ogni campagna militare; Il sangue di Spartaco, ossia la sconfitta a opera delle legioni di Crasso dei circa 70.000 ribelli guidati, appunto, da Spartaco, episodio che segna la fine sanguinosa delle guerre sociali e sancisce l’ineluttabilità dell’economia schiavile. La terza sezione è dedicata al Mercato degli schiavi, fiorente in tutto il Mediterraneo e presente nella stessa Roma.
La condizione degli Schiavi domestici è l’argomento della quarta sezione che evidenzia il privilegio, rispetto agli addetti ai lavori pesanti, di chi condivideva quotidianamente la vita negli spazi domestici, godendo, talvolta, addirittura della stima e dell’affetto del padrone. Nella quinta sezione, Schiavi nei campi, si tratta dell’agricoltura, contesto sicuramente più svantaggiato, per la fatica quotidiana, la presenza di un sorvegliante plenipotenziario e a volte per l’uso delle catene nei campi.
Ancora peggiore poteva essere la situazione delle schiave, esaminata nella sesta sezione Schiavitù femminile e sfruttamento sessuale, per le quali la prostituzione era così frequente da renderne necessaria la proibizione per legge. Ciò nonostante, talvolta le schiave-amanti potevano acquisire ruoli di rilievo nella vita familiare.
Esistevano poi i Mestieri da schiavi (settima sezione), alcuni dei quali conferivano ulteriore marchio di infamia, come le prostitute, i gladiatori, gli aurighi e gli attori. Accanto a questi, però, altri mestieri – oggi stimati, come quello del medico e del chirurgo – erano esercitati da schiavi, molto spesso greci, di particolare cultura e abilità.
L’ottava sezione è dedicata agli Schiavi bambini, del cui impiego nell’economia domestica padronale restano molte testimonianze archeologiche. Il loro numero cresce al termine delle grandi conquiste con l’aumento delle nascite tra gli schiavi che vivono stabilmente nelle case dei padroni.
La nona sezione, Schiavi nelle cave e miniere, descrive la condizione di lavoro e di vita cui erano costretti coloro che rifornivano di marmi e metalli preziosi la capitale e gli altri centri dell’impero.
La decima sezione, Una strada verso la libertà, è dedicata alla manumissio, vera e propria occasione offerta dal diritto romano agli schiavi più meritevoli e a quelli che erano riusciti, arricchendosi, a comprare la propria libertà. Si trattava comunque di una pratica diffusa e unica nella storia della schiavitù tanto che gli schiavi liberati, i liberti, potevano divenire a pieno titolo cittadini romani, con tutti i diritti connessi e poche limitazioni, che peraltro scomparivano per la generazione successiva. Con questa logica, paradossale, il sistema schiavistico romano metteva in moto un vero e proprio ascensore sociale su base, almeno teoricamente, meritocratica.
L’ultima sezione, Schiavitù e religione, esplora il rapporto della schiavitù con alcuni aspetti del culto ufficiale romano, per poi soffermarsi sugli effetti dell’affermazione del Cristianesimo in età costantiniana.