Uno studio internazionale a cui ha partecipato l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr ha scoperto una correlazione profonda tra l’ambiente e il processo di invecchiamento di alcune specie che possono allocare maggiori quantità di energia alla sopravvivenza piuttosto che alla protezione dell’organismo, allungando la propria aspettativa di vita. La ricerca è pubblicata dall’American Association for the Advancement of Science.
Il processo di invecchiamento, in alcune specie di rettili e anfibi, può dipendere direttamente dalle condizioni ambientali in cui si trovano. È quanto emerge da due studi, pubblicati sulla rivista Science e condotti da team internazionali, a cui ha partecipato l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iret).
Nel primo lavoro, il gruppo di ricerca ha eseguito un’analisi comparativa dei tassi di invecchiamento e della durata della vita nei tetrapodi a sangue freddo, utilizzando i dati disponibili in letteratura su 77 specie e 107 popolazioni selvatiche di rettili e anfibi, tra cui tartarughe, serpenti e coccodrilli. In particolare, il Cnr-Iret ha studiato una popolazione di tritone crestato che vive sui Poggi di Prata, nelle colline metallifere del Grossetano.
“Le operazioni di monitoraggio hanno coperto un arco temporale di 19 anni in cui abbiamo cercato di capire in che modo la termoregolazione, la temperatura ambientale, il corredo genetico e il ritmo di vita contribuiscano all’invecchiamento degli animali”, spiega Emiliano Mori, ricercatore del Cnr-Iret. “Abbiamo così scoperto che le specie ectoterme, in cui la temperatura corporea dipende dall’ambiente esterno, mostrano una maggiore diversità di tassi di invecchiamento rispetto a quelle endoterme, la cui temperatura corporea è invece regolata dalla produzione di calore metabolico interno. Nelle prime la longevità media stimata varia da 1 a 137 anni, nei primati questo valore è compreso tra 4 e 84 anni”.
Nel secondo studio, il team ha esaminato i cambiamenti del tasso di mortalità di 52 specie di testuggini, tartarughe marine e animali in cattività, scoprendo che la senescenza era particolarmente lenta nel 75 per cento delle categorie considerate. L’80 per cento degli animali valutati mostrava un tasso di invecchiamento addirittura inferiore rispetto a quelli associati agli esseri umani moderni. “Questi risultati suggeriscono che alcune specie di tartarughe, in risposta a condizioni ambientali migliori, possono ridurre l’invecchiamento fisico e aumentare l’aspettativa di vita, allocando maggiori quantità di energia alla sopravvivenza piuttosto che alla protezione dell’organismo”, conclude Mori. “Comprendere le strategie con cui gli animali ritardano la senescenza può aiutarci a spiegare i modelli macroevolutivi dell’invecchiamento”.