Fiumi di parole, così cantavano i Jalisse. E questo è sembrato essere anche il leitmotiv che ha contraddistinto l’annuncio, le proteste, e lo sfaldamento della Superlega: l’esclusivo progetto di un torneo di football europeo ad appannaggio di soli 12 club, tra cui Juventus, Inter e Milan. Tamponi, vaccini e morti da COVID-19 sono subitaneamente passati alla seconda-terza pagina di qualsiasi rotocalco nazionale e internazionale, riportandoci, per un po’, alla normalità della ludica polemica. Tifosi, tra cui politici e primi ministri, UEFA e FIFA hanno esposto tutto il loro dissenso a tali club, accusati di essere esclusivamente volti all’accumulo di denaro e all’uccisione del calcio romantico. L’obiettivo è stato raggiunto: il progetto è (per ora) fallito. Tuttavia, nonostante UEFA, FIFA, medi e piccoli club abbiano messo il vestito da verginella, le motivazioni addotte non sembrano essere così solide e veritiere, almeno per lo scrivente. E forse, la mancata ufficializzazione della Superlega è stata un’occasione persa per il ritorno a un vero calcio romantico. Ma procediamo in maniera scientifica e con ordine.
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La situazione sportiva del calcio nostrano
L’albo doro della Lega Serie A recita così: Juventus, Inter e Milan hanno vinto 73 dei 117 campionati finora disputati (il 62%). Andando a ritroso, per trovare un’altra squadra all’infuori di queste tre che abbia vinto un titolo iridato bisogna arrivare alla stagione 2000-2001 (Roma). Cosa c’è di romantico se un giovane di 20 anni ha visto sempre vincere le solite tre squadre da quando è nato fino a quando ha iniziato a lavorare? Come ci dicono i dati di Calcio e Finanza il risultato di questo oligopolio può essere soltanto uno: dei 25 milioni di tifosi di calcio in Italia, il 65% si appassiona soltanto per le 3 squadre del podio – e i dati sono, drammaticamente, in crescita. Ciononostante questo apparente entusiasmo, l’afflusso agli stadi per le partite in casa riferito all’ultima stagione pre-COVID indica che: dei 6,8 milioni di spettatori stagionali, soltanto il 28% erano supporter dei 3 team sopracitati e gli impianti hanno raggiunto a malapena il 60% di riempimento (in totale in Serie A). Il dato sull’afflusso è ovviamente in diminuzione, con gli stadi di Serie B e C al 49% e 30% di sfruttamento della loro capacità. Pertanto, sono milioni i tifosi di calcio, soprattutto di Juventus, Inter e Milan che non hanno visto allo stadio una partita del loro beneamato team ma ne hanno goduto(?), per la maggior parte, solo in TV. Cosa c’è di romantico in un ragazzo di Catanzaro che preferisce guardare in TV una squadra di Milano anziché andare a riempire il “Nicola Ceravolo”?
La situazione economico-finanziaria della Serie A
I debiti dei 6 top club della seria A raggiungono 1,5 miliardi di € e dei 20 club componenti il torneo soltanto 6 sono in utile per l’anno fiscale 2019. A valle di un anno di pandemia questi risultati possono essere solo che peggiorati e da qui si spiega la necessità di fare cassa per i club proponenti la Superlega. Ma perché il Presidente del Torino, squadra che ha lottato per non retrocedere nella stagione in corso, dovrebbe augurarsi che la Superlega non abbia luce quando la sua squadra potrebbe beneficare di un campionato meno competitivo e che gli consentirebbe una vita sportiva più facile? Al produttore dell’aranciata San Pellegrino non farebbe piacere che Fanta uscisse dalla competizione? Analizzando i bilanci, anche per i club piccoli e medi in Serie A i maggiori ricavi derivano dai diritti TV. Si pensi, però, cosa potrebbe succedere al valore di tali diritti se i 3 club con il 65% del tifo uscissero fuori dalla competizione; quale media company pagherebbe milioni di euro per accaparrarsi l’esclusiva di tale torneo? Ecco spiegato perché anche piccoli e medi club si sono rivoltati contro questa iniziativa. I SOLDI. Senza i top club la torta da spartire è più piccola. Ecco spiegato il perché Cairo esulta al parziale fallimento della Superlega.
UEFA, FIFA e FIGC: “mani in alto! La vostra è una rapina!”
E che dire della UEFA, organizzatrice della Champions League? Beh, basta trasporre il ragionamento di cui sopra a livello europeo e il gioco è fatto. I SOLDI spiegano ancora una volta il perché di tanto astio da parte di tale organizzazione rispetto alla Superlega: no top club, diritti TV e sponsor di minor valore, incassi ridotti. Fa ancora più sorridere il richiamo al calcio romantico e all’accusa di avidità propinata da FIFA e UEFA quando sono state accertate tangenti ai loro dirigenti per i mondiali in Qatar del 2022, Paese, neanche a dirlo, con una tradizione e cultura calcistica smisurata… forse poco meno dei denari messi sul piatto per far disputare un torneo in pieno inverno. Tesi e antitesi si scontrano anche nello stivale: prima il Presidente della Lega di Serie A accusa la Superlega di essere un torneo elitario per poi riformare il torneo di Coppa Italia escludendo i club di Serie C. Esempio chiaro di un sistema demo/meritocratico. Cosa c’è di romantico in un calcio: pieno di debiti, drogato dal denaro, che fà ricorso a capitali stranieri e società finanziarie per rimanere a galla e governato da istituzioni corrotte e/o contraddittorie?
Abbiamo bisogno di oligarchi per ritornare democratici (e romantici)
E se lasciassimo i 12 club fondare il loro torneo di VIP? All’inizio il sistema calcio italiano subirebbe un crollo economico-finanziario senza eguali e molte società non riuscirebbero più a strapagare i propri tesserati. Ma non è pagare 6 milioni di euro netti un diciottenne uno dei problemi del nostro calcio che ne ha compromesso il romanticismo? Se sì, ben vengano le ristrettezze. Per i primi anni ci sarebbe una fuga di calciatori italiani e stranieri verso altre leghe, rendendo il nostro campionato molto meno attrattivo per i finanziatori del sistema. Tuttavia, un sistema con meno soldi in circolazione potrebbe: i) ridurre le disparità tecniche, così da avere favole come l’Atalanta culminanti con la vittoria di un titolo iridato, ii) riavvicinare i tifosi e giovani leve ai club locali, ora bistrattati in favore delle superpotenze del calcio, e iii) ricostruire il sistema facendo uscire i mercanti – società finanziarie, cinesi e americani – dal tempio.
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