Facciamo una cosa. Chiudiamo gli occhi, aspettiamo qualche secondo e poi voliamo con la fantasia. Giochiamo a sliding doors con la storia e le Olimpiadi. Immaginiamo che al posto di Parigi ci sia Roma. Come avrebbe potuto essere il 2024 dei Giochi se non ci fosse stata la ritirata firmata Virginia Raggi, la fine del sogno, il Cio che corre ai ripari e convince la capitale francese a spartirsi la torta: tu il 2024, a Los Angeles il 2028. Dunque, Roma, magari la cerimonia lungo il Tevere e non sulla Senna, o forse sui Fori Imperiali o al Circo Massimo, chissà. L’Olimpico magari con una copertura più bella, il Flaminio “guarito”, il triathlon a Ostia, il Villaggio a Tor di Quinto o a Tor Vergata, vabbè fate voi. Certo è un gioco doloroso, però ci sta. Perché quella fuga è una ferita ancora aperta soprattutto per chi, come me, non era nato a Roma ’60 e non è proprio un ragazzino per dire prima o poi le Olimpiadi torneranno.
Tuttavia provo un certo fastidio verso la narrazione unilaterale di questi anni. C’era una volta la possibilità di aprire il luna park della felicità e una strega cattiva però buttò le chiavi e impedì l’accesso. Così è troppo facile. L’Olimpiade romana non sarebbe stata un viale pieno di ricchi premi e cotillon, fatta di bilanci sostenibili ed eventi in palcoscenici iconici mozzafiato.
Ce lo dice anche il sofferto percorso di Milano-Cortina, inizialmente presentata come un’operazione a costo zero e che sta inevitabilmente costando alla collettività. Anche Roma sarebbe stata una partita nella partita, che avrebbe dovuto battere diversi avversari. I rischi di corruzione, il gigantismo, la politica che vuole invadere tutto e tutti, i budget ballerini. Ci sarebbe stata da vincere anche la sfida della legacy, lasciando che l’impiantistica olimpica, con il suo indotto (per esempio i campi di allenamento) potesse produrre un boom di pratica e cultura sportiva nella città e in generale in tutto il Paese.
Il fatto è che non ci abbiamo nemmeno provato. E questo sì, questo fa male. Chi disse no allora, diciamo la verità, anche legittimamente spaventato dalle spese fuori controllo di qualche edizione precedente, non colse il segnale di un mondo olimpico in grande cambiamento. Con un CIO capace di dire per esempio, senza peraltro essere ascoltato, a Milano-Cortina: lasciate perdere la mega spesa di una pista di bob-skeleton-slittino con i suoi ottanta e passa milioni di euro, andatevene all’estero per affittare un impianto senza farvi troppi scrupoli ma risparmiando risorse preziose… Fu un no senza se e senza ma, assecondato da quella tiritera disfattista in cui anche un pezzo di opinione pubblica romana (e non solo) è specialista. Una reazione del tipo: “tanto si mangerebbero tutto” o “figurati che bordello sarebbe con il traffico”.
Da allora, Roma ha ospitato diversi avvenimenti sportivi: Europei di calcio, di nuoto, di atletica, Ryder Cup, arrivi del Giro d’Italia, edizioni record degli Internazionali d’Italia di tennis. Spesse volte (ma non sempre: è sul discorso legacy per il dopo che fatichiamo) superando la prova a pieni voti. L’Olimpiade sarebbe stata l’esame più grande. Non prendiamoci in giro: un esame durissimo. Ma che peccato non provarci.