Mi scrive uno: ”Visto quello che fa l’Inter da quando i cinesi hanno fatto sapere che se ne vanno, penso che anche la Juve abbia pubblicizzato apposta i suoi 130 milioni di rosso alla vigilia di Verona…”. Ammesso che fosse vero – ho risposto – visto il risultato, nonostante il gol di Ronaldo, vuol dire che questa Juve non la smuove neppure la presunta emergenza. È una squadra sbagliata e stanca di cercarsi nonostante i gol di Ronaldo e l’opportunità – avuta e goduta – di imitare Allegri liberandosi, con Pirlo, dei fantasmi guardioleschi. Tuttavia, siccome la Signora ha tante anime non l’archivierei.
Ma parliamo dell’Inter. La morale della favola è la solita: non basta essere ricchi, per vincere. Suning garantiva mezzi economici straordinari ma la Beneamata non combinava nulla. È bastata la paura di una grave recessione (altro che 130 milioni di rosso) per convincere Antonio Conte a ritrovare se stesso, la propria forza di combattente, di organizzatore, di trascinatore. Gli Zhang gli hanno fatto conoscere il loro dissenso già a fine estate, gli hanno detto no a un mercato di rinforzo, lo hanno richiamato alle responsabilità acquisite con un contratto favoloso e lui, ferito nell’orgoglio, ha reagito come meglio sapeva: lavorando.
Ed ecco, tanto per cominciare, l’Eriksen ripudiato che diventa una pedina preziosa; ecco i richiami a Sanchez e Vidal e un diverso clima in quel di Appiano (e nello spogliatoio), ecco un sommesso richiamo alla solidarietá accompagnato da un invito a reagire dopo la sconfitta di Coppitalia e Conte sí è trovato un gruppo dove tutti sono diventati Lukaku, Lautaro, ma soprattutto come Nicolò Barella, il tamburino sardo che in campo (e per carattere) è il nuovo Conte, sí, quello che giocava nella Juve. Spiccicato. Barella ovunque, Barella ispiratore, Barella interdittore, quello che Fabio Capello ha definito “uno dei migliori centrocampisti d’Europa”.
È vero, l’emergenza è stata la miglior cura per Conte e per l’Inter. Slogan del giorno: “La Cina s’allontana. Lo scudetto s’avvicina”.