Una volta, quando si giocava a pallone, la Roma di Dino Viola si ribellava al potere per il mitico gol di Turone alla Juve annullato quarant’anni fa dall’arbitro Bergamo (esattamente dal guardalinee bolognese che un giorno mi ha fatto vedere il suo biglietto da visita con su scritto “Giuliano Sancini-Quello che annullò il gol di Turone”).
A torto o a ragione, soprattutto i dettagli di partita erano al centro delle dispute, rappresentavano il “regalo” o la “fregatura”. Adesso il calcio business la fregatura te la propina cerimoniosamente, sfruttando la complessità dell’organizzazione pretesa dalla paytivù che gestisce un campionato ridotto a suo palinsesto. Si gioca quando la pay vuole, alla faccia della regolarità del torneo. Poi arriva l’ASL, l’acronimo che terrorizza l’ultimo calcio.
È ormai l’Azienda Sanitaria Locale, resa potente non dall’efficienza ma dal Covid, a decidere le sorti dell’ex gioco più bello del mondo. Ne fa le spese, buonultima, la Roma che, mentre si batte con alterna fortuna per un posto in Champions, è avviata a coglier danno dai continui spostamenti della data per il recupero di Juve-Napoli che ormai sembra una partita di qualche anno fa.
La Roma contesta l’ennesimo, arbitrario rinvio dal mercoledì 17 marzo al prossimo 7 aprile. Una scelta destinata a favorire per gli impegni di calendario il Napoli, concorrente diretto alla Zona Champions. Non voglio certo addentrarmi nel dedalo burocratico ma solo far notare quanto questa instabilità del calendario del campionato deponga a sfavore della regolarità dello stesso agli occhi del nuovo investitore americano.
Ai signori Friedkin devono avere assicurato che il calcio è una delle poche attività serie del Bel Paese e che i dollari profusi per una rinascita della Roma post Pallotta non sono a rischio. Beh, penso che comincino a dubitare di essere caduti in una trappola, proprio loro che sono venuti in Italia non per costruire stadi ma per fare sport. Ci pensi, la Lega. E raddrizzi i torti.