Marco Impiglia esamina Arturo Blestrieri tra i principali fondatori della Società Podistica Lazio
Qualche giorno fa, la SS Lazio ha festeggiato i 122 anni dalla sua fondazione. Giove Pluvio Romanista non è stato benevolo con la celebrazione a piazza della Libertà, ma resta il fatto che la Società bianca e celeste ha spento le candeline, e su questo non ci piove.
Vorrei oggi parlarvi di un personaggio che, a mio parere, è stato l’anima della prima Lazio, quella “podistica”, al punto da organizzare la prima partita di calcio nel gennaio del 1901. Infatti, come scoprii una ventina di anni fa mentre lavoravo per conto del Corriere dello Sport, non è vero che i laziali esordirono al calcio il 15 maggio del 1904, con la sfida alla consorella Virtus nella vecchia Piazza d’Armi. I bianchi della SPL si erano avventurati a praticare il “calcio ginnastico” già da un bel po’, e proprio Arturo Balestrieri c’entra parecchio con questa poco nota storia.
Balestrieri era un piccoletto (un metro e sessanta) rosso di capelli e lentigginoso. Non proprio un ragazzino perché aveva i suoi 27 anni, era sottotenente nei reparti dei cavalleggeri di Monferrato e abitava ai Monti (il mio rione… e anche quello di Fulvio Bernardini), in via dei Serpenti se non sbaglio. Bravo canottiere, discreto nuotatore (ma lo chiamavano “Piombo”), soprattutto ottimo marciatore a un livello nazionale, assoluto; e anzi, con la marcia tacco e punta aveva un innamoramento pari a quello dell’altro fondatore della Lazio, l’ex bersagliere Luigi Bigiarelli.
Il “Bale” era uno dei nove che avevano dato vita alla Società di podisti e nuotatori sul barcone mezzo abbandonato della Pippa Nera, giù a ponte Margherita. Ma, soprattutto, aveva le funzioni di segretario e organizzatore di quel primissimo nucleo di scavezzacolli, e lo vediamo in questa veste a proposito della partita ufficiale di pallone giocata il 27 gennaio 1901 contro il Veloce Club Podistico. Secondo la mia ricostruzione, i fatti andarono così: La Podistica Lazio era nata da un anno e faceva sentire la sua voce, profittando dell’aiuto generoso della decana delle società sportive capitoline, la Ginnastica Roma (Che esiste ancora: sta al Muro Torto, prima o poi ve ne parlerò).
La “Roma”, con i circoli nautici Tevere e Aniene, la Rari Nantes, il Touring, il Club Alpino e qualche altro ente, aderì a una manifestazione a carattere nazionale (da Roma in su…) che prendeva il titolo di Ludi Sportivi al Secol Nascente. Giusto nella Capitale si ebbero le prime prove, sul Tevere nel tratto urbano, con passeggiate in bici e a piedi verso i monti circostanti, e ancora certami atletici al Velodromo, che stava a Porta Pinciana. Un impianto di cui non rimane nulla, perché tre anni dopo lo buttarono giù per far posto a più lucrosi palazzi abitativi. Stava ripartendo quella “febbre edilizia” che già aveva scosso la Roma umbertina dopo la sua elezione a capitale del Regno. L’Urbe cresceva e le “venues” ad uso sportivo nascevano e morivano come funghi a primavera.
Successe che, un giorno di fine 1900 poco prima di Natale, Balestrieri, in rappresentanza della Lazio partecipò a una riunione già ai Canottieri del Tevere alla passeggiata di Ripetta. Era il cosiddetto “comitato centrale dei Ludi”. Si compilò il programma e Balestrieri seppe che tra i “giochi inglesi” ce ne era uno denominato “foootball”.
La SG Roma lo conosceva da alcuni anni, praticandolo nella sua sede a via Nazionale. Il buon Arturo incontrò così per la prima volta Bruto Seghettini e i fratelli Eugenio e Alessandro Marchetti, che nelle file del Veloce Club Podistico avevano appena iniziato a tirare quattro calci per prova. Il Seghettini, che aveva vissuto la giovinezza a Parigi, s’era portato appresso un “ball” di cuoio marrone molto grosso; più grande di quelli che usavano i “giuocatori di pallone” allo sferisterio.
Venne fuori che mancavano le squadre per imbastire almeno un triangolare, sul campo spelacchiato del velodromo. Allora, Balestrieri dirottò Seghettini alla sede della Lazio, due stanzette in via Valadier, per chiedere se avevano voglia di formare un “undici” e prendere parte alla competizione. La Ginnastica Roma, benevola come sempre, si era tenuta in disparte per non rovinare l’equilibrio ai neofiti.
E qui parte la struggente storia, che sembra una leggenda ma è pura verità documentabile, della visita del “frescobuffo francese” ai laziali il giorno della Befana. Vi trovarono Sante Ancherani e pochi altri che giocavano a carte e spizzicavano robetta fritta, ben contenti di non affrontare la bufera nella gita chilometrica cui si erano aggregati i più “baldi” della compagnia: i tipi tosti come Balestrieri e i fratelli Bigiarelli o Mesones.
Vero è che i laziali non avevano mai veduto una palla da calcio in vita loro; o, per lo meno, sapevano che c’era chi ci faceva dello sport, ma non l’avevano mai tenuta tra le mani. Seghettini, nuovo anche lui ai misteri dell’anglico football (probabilmente in Francia si era dedicato al rugby), diede una pedata maldestra alla palla, tirata fuori all’improvviso da un sacco, e ruppe un vetro della finestra.
Poi andarono tutti fuori sulla strada gelata, deserta di cristiani, in un pomeriggio in cui dei pastori avevano ammazzato un lupo affamato alle porte della città. Il forestiero, dall’accento cafè chantant, piuttosto alto, riprovò testardo e si ritrovò a capitombolare nella neve caduta abbondante. Risate di Ancherani e degli altri. Sfottò impietosi e romaneschi verso l’alieno tisico, ma intanto il virus aveva attaccato…
Forse solo un bacillo: un giorno non lontano l’avrebbero chiamato “tifo”.
Il suo match del triangolare, poi, la Lazio lo disputò la domenica del 27 gennaio. Ci fu un rinvio del programma per il mal tempo e l’intoppo favorì i bianchi laziali, che ebbero un minimo di tempo a disposizione per impratichirsi con le regole del gioco. Conoscevano quelle della “pelota”, col totalizzatore a piazza Cavour, ma non le regole del “calcio”.
Quel pomeriggio, quasi a sera, la Podistica Lazio si confrontò col Veloce e perse per due reti a una. Segnò per prima, e però gli avversari recuperarono e poi la partita si chiuse di comune accordo all’incombere del buio. Non ho la certezza, ma opino che il portiere e capitano della Lazio fosse Balestrieri.
Quasi sempre, nel calcio ginnastico dei pionieri, i capitani erano gli organizzatori delle squadre, e nove volte su dieci si mettevano a guardia della porta, da dove potevano controllare e dirigere tutti i compagni. Prima di Lazio-Veloce, quelli del Veloce se l’erano vista con l’undici della Forza e Coraggio, ma un brutto incidente capitato a un “footballer” alle prime armi, che di mestiere faceva il sarto ed era originario di Itri, aveva fatto sospendere subito il ludo.
Il tizio venne portato di corsa all’ospedale e perse un occhio: il calcio era una faccenda che poteva diventare pericolosa, quando non si sapeva dove mettere i piedi.
Ricordo che, svolgendo le ricerche, trovai lo stralcio dell’unico giornaletto che aveva pubblicato un resoconto abbastanza circostanziato della partita, corredato da un paio di disegnini.
Siccome il disegnatore non era stato sul posto di persona e il giornalista inviato al velodromo gli aveva parlato di “football”, quello s’era inventato lì per lì due azioni del “football rugby”, scopiazzate da qualche rivista francese.
Ecco spiegato il mistero del disegno improprio che vedete qui a fianco. Gli originali ce li ho solo io: diffidate dalle imitazioni.
Tornando a Balestrieri, il ragazzo fondò due anni dopo la Virtus Roma e poi se ne andò al nord, dapprima a Genova e quindi a Milano, dove iniziò il mestiere di reporter per la
Gazzetta dello Sport. Lassù conobbe un altro sport destinato a immensa popolarità, la boxe, e divenne il più bravo arbitro di pugilato in giro, tanto da essere designato per alcuni dei match più celebri dell’epoca.
Mi sovviene, ad esempio, quello tra Pilotta e Boine per il titolo dei massimi, che costò la vita al ligure Boine. Balestrieri fu anche un giudice delle gare atletiche.
Scrisse manuali podistici, di basket e di nuoto. Era pratico di scherma e di lotta, con esperienze nel waterpolo, ossia la pallanuoto, disciplina che seguiva per conto della “rosea”.
In sostanza, Balestrieri va considerato come il primo eccelso giornalista sportivo nato a Roma; assunto incontestabile se considerate che seguì come inviato quattro Olimpiadi e in una di esse svolse l’ufficio di “dinamometrista”, esperto di sollevamento pesi. Quando scomparve prematuramente l’amico Bigiarelli, nel febbraio del 1908, fu lui a ricordarlo con una commovente orazione.
Arturo morì nel 1945, a Brescia dove era andato a vivere gli ultimi anni. La Gazzetta dello Sport promosse un torneo di ginnastica a suo nome; e un altro trofeo gli fu intitolato nel 1958 dalla Federazione di atletica pesante. Sotto il fascismo, aveva ricevuto la croce di cavaliere della Corona.
Non molto tempo fa, ho avuto la ventura di conoscere il suo piccolo pronipote Lorenzo, che vive in Liguria ad Albisola Marina, con la mamma Erika. Tifosissimo laziale, non mi pare che giochi in porta come il bisnonno.