foto: LAZIOWIKI.ORG

Sabbato ar colosseo di Marco Impiglia

Vita, morte e miracoli sportivi di papà Brega, genitore del grande attore romano, nel racconto di Marco Impiglia.

 

Sabato scorso, verso le quattro del pomeriggio, ho preso l’autobus e ho fatto una capatina a via Oderisi da Gubbio, dove era in programma lo scoprimento della targa a Mario Brega, l’attore romanissimo che ci deliziò. Mi aspettavo la calca ma non cotanta. C’era il sindaco Gualtieri sorridente che parlava, questo nostro sindaco che sembra un funzionario di Cinecittà abituato al cartongesso e alla cagnara; direi che rispecchia il caos di immondizie che impera a tutti i livelli nell’Urbe. Lui parlava di “Mario”, ed era chiaro che nessuno l’ascoltava. Tutti i telefonini erano puntati verso l’altro capoccione pelato con gli occhiali da intellettuale che gli stava a fianco: Carlo Verdone. Un attimo, e ho capito che la gente stava lì per il comico e il regista, il pupillo di “Albertone”, e non per altro. Sì, forse qualcuno degli indigeni ricordava Brega al bar Tornatore che prendeva il cappuccino al tavolo, ma pochi.

La targa dedicata a Mario Brega…

Essendo piccolino, ho chiesto a un centurione se, benevolmente, alzava il braccio e scattava una foto sopra la folla per me. Dopo le due parole in croce di Verdone, è partita “La settima luna” di Lucio Dalla. E lì mi sono immaginato Verdone e il regista dell’operazione che concertavano: “sì, è abbastanza lungo e va bene!” Ma non sapremo mai se Dalla era di gusto a Brega. Di sicuro lo è a Verdone. E anche a una smilza squinzia over 50 che mi sculettava a mezzo metro, memore di concerti vissuti quando era squinzia davvero. Verdone, che deve essere un tipo alla mano – io conosco solo il fratello Luca che mi è sodale nel Gruppo dei Romanisti, di carattere opposto – si è concesso ai selfie della gente per una quindicina di minuti almeno. L’atmosfera era da Festival del Cinema a fine ottobre all’Auditorium. Mancava il tappeto rosso ma c’erano i poliziotti in tenuta di ordinanza, assai rilassati. Tre di loro piazzati proprio davanti a me: una poliziotta finta bionda, un poliziotto-Piedone enorme e, a sorpresa, un mini-poliziotto sul metro e sessanta al massimo; chiaramente avocato in servizio per occasioni simili, quando non si debbono menare fendenti ai teppisti.

… e un momento dell’inaugurazione.

Poi, spentasi l’ultima nota della profezia canora del grande Lucio, molto inquietante a risentirla oggi, Verdone e il primo cittadino se ne sono andati, in un tripudio di pseudo cine-operatori tv piantati in asso. La folla si è dispersa in un amen, come quando l’ambulanza porta via il ferito e la situazione si normalizza: ai vampiri rimane più nulla da succhiare. Ho atteso ancora un po’ e me la sono filata a comprare due maritozzi con la panna dal “Maritozzaro”, che rimane a cinque minuti dalla targa di Mario Brega. Ma non è il primo Brega omaggiato di un rettangolo di marmo. A Bagni di Tivoli esiste, da svariati anni ormai, una “via Primo Brega”. Il padre di Mario.

Sandra Milo con Vittorio Caprioli sul mitico ring dell’Audace in via Frangipane.

Il vecchio Venturini, giusto una ventina di anni or sono, mi diceva, giù nelle spelonche della Società Audace a via Frangipane, e sto parlando di una delle più gloriose associazioni sportive romane, che nel 1964 Mario Brega capitò nella segreteria per un film. Lui era un appassionato di pugilato, già frequentatore della mitica Sala Gigli. In quel frangente, stava col regista Mauro Bolognini e il film era “La donna è una cosa meravigliosa”. C’erano la Sandra Milo, Vittorio Caprioli, Tinto Brass, mentre Mario Brega aveva un ruolo minore, da macchietta romanesca, un po’ bullo e un po’ marxista (o fascista, o anarchico…), di quelle che sapeva interpretare alla perfezione, grosso e burbero com’era. Il nostro gigante si trovò al cospetto della bacheca – una splendida parete piombata ad arco sotto vetro – della nobilissima Audace. Vide apparecchiarglisi all’improvviso tutta la teoria di coppe, targhe e medaglie vinte dal padre. Si commosse: l’aveva perduto da meno di dieci anni.

La bacheca…

Ora, ai tempi di internet, se cliccate su PRIMO BREGA ed esigete delle immagini acconce, la rete ve ne regala una pessima dell’Ansa, e tutto il resto è MARIO. Al contrario di Zeus, il figlio s’è mangiato il padre, che nella Storia ci sta grazie al sottoscritto. Sta nero su bianco nel secondo dei due volumi pubblicati per il centenario dell’Audace; quello delle biografie dei suoi tanti campioni: “Primo Brega (1892-1955) Grinta da vendere”. Ve lo riporto tale e quale, giacché poco o nulla avrei da aggiungere. Brega militò nell’Audace del patron Felice Tonetti, giornalista, sportsman velocipedista, pesista e lottatore, fiumarolo, antiquario e uno dei maggiori organizzatori dello sport capitolino negli anni dieci, venti e trenta del Novecento. L’Audace primeggiava tra le polisportive romane, superiore anche alla SS Lazio.

… e la vecchia bandiera della AS Audace di Roma.

Primo Brega è stato uno dei più puri campioni che abbia indossato la maglia dell’Audace. Nato a Tivoli il 10 novembre 1892, iniziò a correre per la Pro Tivoli nel 1910, giungendo secondo nel “Premio Esperia” (12 km). Entrò quindi nella sezione tiburtina della Podistica Lazio e fu terzo a Roma ai Campionati Italiani dei 5.000 metri. Nel 1914 si aggiudicò il titolo tricolore a Milano, con un’azione di forza sul bustese Carlo Speroni, fissando l’ottimo tempo di 15’57”. Ecco il resoconto della gara, pubblicato da “La Gazzetta dello Sport” del 28.9.1914:

Primo Brega campione d’Italia dei 5.000 metri, “L’Italia Sportiva” 28 settembre 1914.

[…] La partenza dei cinquemila è meravigliosa: noi crediamo che mai in Italia si sia verificata una fuga iniziale così veloce come quella causata da Brega. Egli appare intenzionato a seminare immediatamente tutti gli avversari ed il suo disegno non fallisce. Malgrado la rapidità vertiginosa del primo giro Speroni gli si attacca, seguito da Zanti e Brunelli, mentre tutti gli altri sono immediatamente dispersi. Il gruppo degli undici partenti si è oramai allungato in fila indiana, e dopo ottocento metri Speroni tenta di neutralizzare la fuga di Brega fuggendo a sua volta. Ma il romano doma subito l’ardore bellicoso di Speroni. Egli parte risolutamente in piena volta e Speroni, dopo averlo vanamente inseguito per un centinaio d metri, abbandona. Mentre Brega, ormai lanciato ad andatura fortissima, si allontana sempre più, nelle posizioni retrostanti si delinea una bella lotta fra gli altri (..) Brega vola trionfante verso l’arrivo, freneticamente applaudito e incoraggiato dalla folla, che ammira la sua andatura magnifica. Dietro di lui insegue Allievi, che ha un leggero avvicinamento a Brega, che nell’ultimo chilometro ha rallentato un po’ […].

Brega ed Ettore Blasi all’ultimo cambio di una staffetta a squadre al Velodromo Appio, “Lo Sport Illustrato” 18 luglio 1920.

All’epoca, Brega gareggiava per i colori biancoverdi della SS Alba, anche se a Milano s’iscrisse come “libero”; veniva definito il più nervoso corridore d’Italia. Scarno, magrissimo in viso, aria sbarazzina, occhio febbrile di carbone, falcata superba ed elastica, il “fornaciaro” di Tivoli apparteneva a quella grande schiera di mezzofondisti che avrà il suo culmine in Beccali a Los Angeles. Nel maggio del 1918 Tonetti riuscì a portarlo nelle file audaciane, in occasione del Meeting Interalleato a Londra. Brega divenne il “cocco” di “papà” Tonetti e ricompensò ampiamente la fiducia riposta. Il 12 ottobre 1919, a Milano, vinse il Campionato Italiano dei 5.000 con uno scatto impressionante, che lasciò a dodici secondi il rivale Ernesto Ambrosini della “Forti e Liberi” di Monza. Purtroppo, nel luglio del 1920 fallì il grande obiettivo delle Olimpiadi: malato, non poté partecipare alle selezioni. Ai Giochi andarono Martinenghi, Maccario e Speroni. Un vero peccato perché, ad Anversa, il fuoriclasse audaciano avrebbe potuto confrontarsi con un mito del mezzofondo che rispondeva al nome di Paavo Nurmi.

Brega secondo ai Campionati Italiani dei 5.000 m, Busto Arsizio settembre 1922.

Nel 1921 Brega sfidò e batté sulla distanza inusuale dei 6.000 metri Ettore Blasi, un’altra leggenda del podismo capitolino. Non prese parte ai Tricolori ma a Cagliari, in un concorso ginnico-atletico cui partecipò con la squadra dell’Audace, fece registrare il record italiano (15’22”4/5). Da dieci anni, ormai, era imbattuto nella specialità dei 5.000. La resa dei conti per lui venne a Busto Arsizio, ai Campionati Italiani del 17 settembre 1922. Com’era nel suo temperamento, il biancorosso partì subito in testa e lasciò dietro Speroni, non riuscendo però a scrollarsi di dosso Martinenghi e Ambrosini. A otto giri dal traguardo, Martinenghi allentò la presa e gli rimase vicino solo Ambrosini. Sul rettilineo finale, con la folla in delirio, il lombardo dovette stabilire il nuovo record nazionale per battere il rivale, che gli arrivò dietro a un paio di secondi. Pochi giorni dopo questa cocente sconfitta (23 settembre), Brega fissò il nuovo record italiano dei 3.000 e vinse alla grande i 10.000, staccando tutti al settimo giro. Carlo Martinenghi, dell’Internazionale Football Club (all’epoca la società nerazzurra si occupava anche di atletica), gli arrivò trenta secondi dietro.

Il campione in una caricatura del 1923.

La vittoria nei 10.000 segnò il canto del cigno per il tiburtino. Nel biennio successivo, Brega si accontentò di vincere varie gare romane, più un paio a Formia e a Napoli. In tutto questo periodo audaciano egli fu praticamente imbattibile nelle gare su strada non troppo lunghe. L’unico problema era dato dal fatto che di gare su strada ce n’erano ormai poche, essendo definitivamente tramontati i tempi d’oro vissuti da Pericle Pagliani. A Parigi 1924 non andò neppure come riserva, avendo ottenuto scarsi risultati nelle prove di selezione. Non poté così esaudire il suo desiderio di partecipare ai Giochi Olimpici. Nel secondo dopoguerra fu uno dei protagonisti del gruppo dei Veterani Sportivi, rimanendo sempre vicino alle sorti dell’Audace. Abitava in via Negri all’Ostiense. Si spense il 6 novembre 1955.

Da tutto ciò, ora sappiamo che il padre di Mario è stato tre volte campione italiano nel mezzofondo, mancando le Olimpiadi per cattiva sorte. Negli anni quaranta e cinquanta abitava all’Ostiense, che dobbiamo dunque immaginare come il quartiere dell’infanzia di Mario; dai mercati dell’Ostiense a Marconi il passo non è così lungo. Ma le origini della stirpe vanno cercate a Tibur Superbum, la città fondata dai Siculi nel 1.200 a. C, dove cascate spettacolari ricordano l’effervescenza dei due Brega. Un cognome che mi sembra marchigiano, tra l’altro: energie del Tirreno venate di sangue slavo. E tuttavia, Wiki suggerisce che ci sono anche una radice pavese e un’altra romana. Un cocktail di popoli barbari e latini, come sempre.
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