L’epopea dei Maglioni bianchi
Forse pochi sanno che la più antica partita tra l’Internazionale Milano e la Lazio di Roma data al primo gennaio del 1913 e va considerata – non ne siamo sicuri ma probabilmente è così – la prima sfida “Nord-Sud” della storia calcistica del nostro Paese.
La stagione 1912-13 è anche quella che per la prima volta concesse alla squadra campione del Centro-Sud di battersi, in estate, con la squadra vincitrice della Lega Nord, al fine di stabilire il team più forte d’Italia. Finale che si giocò in luglio a Genova tra la Pro Vercelli e i biancocelesti, e che vide la facile vittoria delle “casacche bianche” piemontesi. Ma pochi mesi prima la Lazio, che in quanto “sudista” apparteneva alla “terza categoria” (i club di prima e seconda disputavano solamente il Campionato Alta Italia), venne invitata dall’Internazionale ad inaugurare il suo nuovo campo di via Goldoni. Tramite dell’eccezionale avventura fu un conte milanese di origini svizzere, amante dell’ippica, delle caccie ai leoni in Eritrea e delle caccie alla volpe nella campagna romana: Felice Scheibler. Infatti, il club nerazzurro, nato cinque anni prima, aveva nelle sue file vari dirigenti e giocatori elvetici.
Fatto sta che, nel pomeriggio dell’ultimo dell’anno del 1912, una rappresentativa della Società Podistica Lazio, guidata dal suo presidente il conte Tullo Cantoni Mamiani della Rovere, partì in treno dalla Stazione Termini alla volta del capoluogo lombardo. Ben venti ore filate di viaggio! Il match iniziò alle tre (si doveva giocare col sole…), poco dopo il battesimo con lo champagne effettuato da lady Beretta Rietmann, moglie di uno dei fondatori dell’Inter. Arbitrò la migliore giacchetta nera disponibile a Milano: Umberto Meazza.
I biancocelesti (ma quel giorno, per il freddo che faceva, indossarono pesanti maglioni bianchi) avevano la chance di incontrare una della formazioni più forti del settentrione e mostrare così tutto il loro valore. Fu, in realtà, una grande prova. Il giornalista Giorgio Cavallotti de “L’Italia Sportiva”, aggregatosi alla comitiva, scrisse nel suo pezzo dettato al telefono:
«Sul principio dell’incontro, si parlava di sei, dieci goals che gli internazionali avrebbero fatto agli ospiti romani, e questa voce sembrò essere confermata dai primi venti minuti di gioco, durante i quali per tre volte la foga degli internazionali fu coronata da successo. Ma tutti coloro che altre volte avevano visto il felice ritorno che ha sempre il team laziale nel secondo tempo, ebbero la speranza, che a poco a poco divenne certezza, che i forti uomini dell’Internazionale avrebbero avuto più tardi dei degni avversari. Nel secondo tempo la Lazio fu pari, se non superiore, alla fortissima avversaria. Dei nostri Fioranti si dimostrò l’uomo della classe superiore; egli si prodigò dall’inizio alla fine, fu il piccolo acrobata sicuro dei suoi mezzi, dal calcio potentissimo, dal dribbling brillante ed efficace. Faccani ebbe dei momenti veramente felici, ed il pubblico ne riconobbe il merito. Di Napoli fu il perfetto e sicurissimo giocatore che tutti conosciamo. Gaslini, incerto nel principio, si riebbe più tardi e, aiutato dalla fortuna, ebbe buonissime parate sui tiri di Cevenini, Aebi e Bontadini. Saraceni fu l’unico uomo che conservò sempre la sua calma. A lui si deve il punto sul finire del primo tempo, dopo una combine eccellente, dopo aver evitato il pericolo di Fossati e di Poterli, segnato in modo inarrivabile, con arte di vecchio giocatore. Aggiungerò che molto avranno imparato i nostri giuocatori dall’incontro di Milano. Avranno ad esempio imparato molte malizie, avranno compreso la necessità di un giuoco più ampio nella linea d’attacco. Con altri incontri, che speriamo prossimi, la squadra romana imparerà ancora molto»
I milanesi si stupirono non poco della qualità del gioco espresso dai capitolini. Che in quanto a controllo del “ball” non erano per niente inferiori ai nerazzurri. I “maglioni bianchi” uscirono battuti nel punteggio ma non nello spirito dal campo di via Goldoni. Così che Franco Scarioni, prima firma della Gazzetta dello Sport, titolò: «La bella affermazione della Lazio». Già il semplice fatto di non essere stati subissati di reti, rendeva vincenti quei footballer di terza categoria. La fama della Lazio, non solo come titolata polisportiva ma anche come compagine calcistica, non era del tutto sconosciuta al nord. E fu per questo, oltre che per i buoni uffici dei conti Scheibler e della Rovere, che l’Internazionale la volle assolutamente. Dopo la partita la onorò con un “terzo tempo” di gran lusso offerto in un ristorante vicino al Duomo.
Scarioni – uno dei più bravi giornalisti sportivi di quel periodo, purtroppo destinato a morire di lì a poco nella Grande Guerra – giudicò la Lazio una squadra “latina”, irruente e resistente, “non indegna della prima categoria lombardo-ligure”. Un apprezzamento che suscitò gli entusiasmi dei laziali e perfino d’alcuni footballer di squadre rivali, ad esempio quelli del Roman, che andarono alla stazione ad accogliere i reduci della trasferta. La partita di Milano pareva un passo importante sulla strada dell’emancipazione del football in riva al Tevere; purtroppo, era destinata a rimanere un episodio isolato. E di un Lazio-Inter giocato alla pari se ne sarebbe parlato solo molti anni dopo.