Donne e sport nel corso del tempo. Le immagini delle dive di Cinecittà si incrociano con il mondo sportivo. Ne parla Marco Impiglia, storico dello sport.
C’è stato un momento, alla metà degli anni ’50, in cui le “maggiorate”, ovvero le dive di Cinecittà, sono entrate prepotentemente nel mondo del pallone. Non come fidanzate o mogli dei campioni, come accade oggi, bensì in qualità di “testimonial”.
Il business del calcio professionale, e anche del ciclismo, del motorismo e di qualche altro sport, scoprì che piazzare accanto a un atleta osannato una bellezza mozzafiato faceva vendere meglio entrambi i prodotti: lo sport-spettacolo e lo spettacolo del cinematografo. Le riviste patinate e non solo, si buttarono a pesce sulla novità.
Parleremo di questo, dunque. E anche di un incrocio con un curioso, veramente dimenticato, fenomeno di quei tempi: il “Totolazio”: il concorso pronostici a premi bandito dalla SS Lazio a campionato 1954-55 già iniziato. Attenzione!, non ci fu un “Totoroma” o un “Totojuve”, un “Totointer” o un “Totonapoli”, ma solo la Lazio si azzardò ad imitare il Totocalcio. Davvero, non ho una risposta al perché la Lazio sì e la Roma no.
Forse l’industria di Cinecittà sul Tevere contribuì a fare nascere l’idea. Il Totocalcio, gestito dal CONI, aveva un’impronta parastatale e non osò proporre pubblicità con le “maggiorate” protagoniste.
Così che ci fu spazio per l’iniziativa della Lazio. Che accortamente non partì in contemporanea con la schedina d’oro, ma mise in circolazione i suoi tagliandi solo dopo la quinta giornata: dopo il derby!
Era da un po’ di tempo che pensavo di scrivere un pezzo sulle “totoschedine biancocelesti” – in realtà blocchetti di tagliandi numerati gialli e verdi che la Società distribuiva e che occorreva spedire compilati alla sede di via Frattina prima delle partite domenicali. Poi, un paio di giorni fa, nella tana sotterranea superlaziale dell’amico Angelo, mi è capitato di scorgere, in bilico su una pila di vecchi rotocalchi, l’incredibile manufatto: un blocchetto giallino quasi intonso, con sul retro la réclame del liquore Strega.
A volte, il fato ti manda segnali che non puoi ignorare, altrimenti qualcuno lassù si offende e non te li rimanda più.
Seguiamo, allora, uno dei concorsi pronostici, precisamente il numero 7 (Cacchio! il blocchetto che ho fra le mani, e chissà se lo ridarò mai indietro, parte dal concorso 11). Un Lazio-Napoli disputato il 19 dicembre 1954.
Scontro che non ebbe sapore di scudetto, e che comunque radunò nel gelo dello Stadio Olimpico cinquantamila anime azzurre, suddivise tra napoletani in trasferta, napoletani di Roma e (la minoranza) indigeni laziali.
In visita alla Città Eterna, e in realtà in tour per l’Europa, c’era una diva americana del cinema tra le più celebri, Ava Gardner. Bellezza dal fascino aristocratico che, dal dopoguerra almeno, mandava in sollucchero con pellicole come “Le nevi del Chilimangiaro” o “Mogambo”.
La Gardner che, giusto in quel periodo, stava vivendo la sua love story con Walter Chiari, incontrato a un party di presentazione de “La contessa scalza”.
La sensuale Ava, “l’animale più bello del mondo”, la “diva dagli occhi di tigre” a detta di Clark Gable, entrò regalmente nel nuovissimo stadio bianco, verde e rosso e porse ai capitani del Napoli e della Lazio, Amadei e Giovannini, due mazzi infiocchettati di rose.
Il “fornaretto” mi confidò che non gli era mai accaduto in precedenza di avere, a dieci centimetri dal naso (disse proprio così: “dal naso”), una femmina a tal punto seducente. E che gli ci vollero diversi minuti per uscire dal tunnel e ricordarsi che stava lì per giocare una partita di calcio.
Insomma, la trentaduenne Ava Gardner fece la sua gran bella figura. Come al solito. Ma respirava un’altra giovane diva, a Roma, che in quanto a grazia nulla aveva da invidiare: la ventunenne Sofia Loren.
In uscita nelle sale c’era, infatti, “L’oro di Napoli”, capolavoro della comicità all’italiana che avrò visto una dozzina di volte da bambino alla Tv; messo e rimesso nel palinsesto perché i dirigenti Rai si rendevano conto del cavallo vincente: conosci tutte le battute di Totò ma le vuoi risentire, ti ricordi tutte le sfumature di rosa della Loren ma le vuoi riscoprire.
Il trucchetto per fare lo sgambetto alla Gardner fu, per l’appunto, la partecipazione della “Bella di Napoli” – così l’avevano definita i giornali – al Concorso pronostici a premi della Società Sportiva Lazio. Un reporter del Corriere dello Sport prese appuntamento in un bistrot di via Veneto e le consegnò il tagliando da riempire. Immaginiamoli a un tavolino dell’Harry’s, il magro “pressman” col suo logoro taccuino e la stilo appoggiata accanto; la 97-61-97, altezza 174, seduta compostamente a spiegargli quanto di calcio ella fosse appassionata:
Sa, faccio il tifo per il Napoli e ammiro moltissimo Jeppson. Però abito e lavoro a Roma, non so… Avrei piacere che vincesse il Napoli ma mi dispiacerebbe che perdesse la Lazio.
E allora, forse un pareggio che non scontenterebbe nessuno e dividerebbe equamente punti, critiche ed elogi, le pare? (Assenso del reporter: la seconda che hai detto). Siii!, proprio quello ci vuole. E poi un gol di Jeppson. E ovviamente anche il pareggio laziale. Diamolo, perché leggendo i giornali ancora non ho capito bene chi ci sarà alla mezzala destra, al numero otto: a Bredesen…
Pare che, detto questo, la Loren si sia come impuntata, mentre vergava il suo più che diplomatico vaticinio: uno a uno reti di Jeppson e Bredesen. Il reporter comprese che la signorina sentiva di aver tradito qualcosa o qualcuno, e allora la pregò di avventurarsi nel secondo pronostico, quello sulla Roma.
I giallorossi giocavano a Firenze, i viola erano un boccone assai ostico; la stagione dopo, sotto la guida di Fulvio Bernardini, avrebbero vinto lo scudetto. Come si disimpegnò la Sofia Scicolone, che di calcio un po’ troppo poco sapeva? Giudicate voi.
– Fiorentina-Roma… mmmm… (matita tra le labbra) questa è difficile! Non ho potuto, per impegni di lavoro, vedere Roma-Milan (clamorosa vittoria dei lupi, in gol con Bortoletto e Giuliano, e a secco il bisonte Nordhal, tenuto per la collottola da Cardarelli, ndr) ma mi hanno detto che i giallo-rossi hanno giocato proprio bene. Dovrebbero vincere, anzi lo spero.
Facciamo “due-a-uno”, lo stesso risultato col Milan. E il gol decisivo lo faccio segnare da Venturi, che tanto bene ha giocato in quella partita. Altro non posso aggiungervi. Perché, lo confesso piano piano, dispiace anche a me, ma da qualche tempo non ho più modo di vedere partite, di fare il tifo, perché sono tanto impegnata…
Il tagliando specialissimo fu subito pubblicato. Con tanto di firma e compilato in tutte le sue parti, come da regolamento; anche l’indirizzo: via Ugo Balzani 13. Un grosso condominio vicino via dei Monti Tiburtini e quasi sotto la tangenziale est. Chissà chi ci abita oggi, nell’appartamento in cui dormì la Loren. Mi piacerebbe saperlo.
Per la cronaca, Lazio-Napoli finì 2-1: Castelli e John Hansen e stoccata decisiva del norvegese Per Bredesen, numero otto sulla maglia, come da predizione. La Roma pareggiò 1-1. Se avesse invertito i risultati, la Loren ci avrebbe preso.
Furono undici i “concorsisti” che azzeccarono 4 punti e si disputarono gli otto premi in palio. I biglietti arrivati erano stati migliaia, a riprova di quanto il concorso fosse divenuto popolare tra i laziali e anche tra i romanisti. Il sorteggio avvenne il giovedì del 23 dicembre nella sede della SS Lazio, alla presenza di un notaio. Non senza alcuni reclami furiosi che diedero pepe alla cosa. Per il desideratissimo primo premio, un bel televisore Philips da salotto, fu sorteggiato l’unico tra i vincitori che non si era presentato di persona: il signor Gilberto Frosi, abitante in via delle Medaglie d’Oro. Zona Trionfale e tifoso laziale, addirittura un abbonato.
E la sfida tra la Gardner e la Loren?
Continuò e si chiuse la domenica successiva, quando entrambe salirono a Milano per il match tra i diavoli rossoneri dell’ungherese Bela Guttmann e gli aquilotti biancazzurri dell’inglese George Raynor. Il giorno avanti la gara, la Sofia partenopea (nata a Roma e cresciuta a Pozzuoli, in effetti) visitò la sede del Milan FC.
Lì trovò ad attenderla un gruppo di giocatori milanisti e giornalisti. Disse tranquillamente e in tutta sincerità (con quella bocca e quelle gambe, che la predisponevano al dialogo da pari a pari con Nordhal e Liedholm, poteva dire qualsiasi cosa e nessuno avrebbe obbiettato alcunché):
– Sono contenta di essere fra voi, per il semplice fatto che mi trovo a Milano per la prima volta nella mia vita e che sono fra calciatori pure per la prima volta. I primi incontri, dicono, non si scordano mai. E io mai vi dimenticherò. Finora avevo fatto il tifo a distanza per voi, anche se sono napoletana. Ora che vi ho conosciuto, il mio tifo per il Milan diverrà una vera e propria passione!
Visibilmente emozionata, le guance rosse forse per il caldo dopo il freddo della madonna e forse no, la Sofia strinse le mani che le venivano cortesemente porte da Schiaffino, Nordhal, Liedholm, Buffon: i suoi contraltari in quanto a divismo e successo per meriti fisici. L’americana Ava, invece, alla partita ci andò eccome. Ma non portò fortuna alle aquile che, il giorno di Santo Stefano, furono trafitte tre a zero. Il Milan avrebbe vinto lo scudetto davanti alla sorprendente Udinese, segnando 81 gol in 34 partite. Al terzo posto la Roma di Jesse Carver, che pure vantava Alcide Ghiggia in formazione. L’uruguagio dal volto triste che, quattro anni prima ai Mondiali, aveva fatto piangere il Brasile intero.