Con una sobria cerimonia alla quale ha presenziato Virginia Raggi, martedì scorso a piazza della Libertà si è inaugurata la “Fondazione SS Lazio 1900”. L’occasione, per varare un’iniziativa di così grande pregio, è stata fornita dalla ricorrenza del centenario dell’erezione in Ente Morale dell’allora Società Podistica Lazio. Per la verità, sarebbero dovuti passare ancora alcuni mesi per centrare la ricorrenza precisa.
Il senatore Paolo Boselli e il cavalier Fortunato Ballerini, principali artefici dell’operazione |
L’istanza, avallata dal presidente onorario, il senatore Paolo Boselli, partì nell’estate del 1920 e andò in porto il 2 giugno 1921, firmata dal re Vittorio Emanuele III «per grazia di e Dio e volontà della Nazione».
Il documento firmato dal re Vittorio Emanuele III che stabilì l’erezione in ente morale della Società Podistica Lazio. Archivio Centrale dello Stato di Roma. |
La motivazione esposta fu duplice: le finalità perseguite dalla SPL e il suo stato patrimoniale. Vogliamo aggiungere che quattro
furono i punti forti che posero la Lazio nella condizione di ottenere l’upgrade: 1) l’evoluzione della “Lazio” in associazione culturale, con una valenza assistenziale espletata durante la guerra; 2) l’aver sempre condotto l’azione sportiva in conformità a un superiore concetto di educazione fisica; 3) l’aver dato supporto alla “nazione in armi”, istituendo una sezione per la formazione militare dei giovani; 4) la proprietà di uno chalet sul Tevere e del Campo alla Rondinella. Nella primavera del 1921 questi meriti la SPL li aveva, e furono sufficienti per elevarla a ente morale. Uno status giuridico che la ricollocò in maniera formidabile sulla questione esiziale del patrimonio sociale e della sua gestione, e che nella sostanza nel 1927 l’avrebbe salvata dal finire assorbita nella AS Roma.
Considerata in questa ottica diacronica, non di poco conto, dunque, ci appare l’operazione della Lazio. Siamo, in effetti, alle scaturigini stesse della Polisportiva e al centro dei suoi più sacri valori: non solo sport, sia amatoriale che professionale, ma anche partecipazione nel sociale la più ampia possibile. Ricordiamo tutti quella visita della Lazio Calcio al Bambin Gesù, lo spontaneo atto d’amore del capitano Acerbi di rimanere un altro poco con i degenti. Momenti di questo tipo non sono poi così rari da parte dei campioni dello sport. Tuttavia, nella Lazio essi rientrano in una tradizione più che centenaria, come tra poco vedremo sulla base di documenti di eccezionale rilievo.
Il 23 febbraio, Gabriella Bascelli, l’ex campionessa di canottaggio, nel suo ruolo di presidente della Fondazione, ha donato alla sindaca di Roma lo statuto sociale.
Crediamo solo per un effetto di skyline (l’italo-sudafricana è alta un metro e 85), è sembrato che il testo piovesse direttamente dal cielo, offerto dall’aquila Olimpia nelle mani del primo cittadino. A leggere gli articoli d’apertura, qualcosa di sublime traspare nelle intenzioni del club biancoceleste. Che, rifacendosi alla “Podistica” del 1921, dice: Come e più di allora, la SSL promuove lo sport per tutti, con oltre 70 discipline, con juniores, assoluti e master, con un’attenzione specifica alla disabilità … promuove il welfare di comunità con diffusione di attività di interesse sociale e con finalità educativa … promuove stili di vita salutari centrati sull’attività fisica, sulla sostenibilità dell’ambiente, sulla sana alimentazione.
Pensando ai circa diecimila tesserati della Polisportiva e alle sue tante iniziative agonistiche e ricreative, riguardando certe immagini di ragazzi “down” pimpantissimi dopo aver gareggiato nel “derby di canottaggio” o giocato a hockey, e ancora meglio osservando la foto inviata da una squadra di basket sponsorizzata in Mozambico (paese che mi è assai caro, avendoci vissuto da giovane), devo riconoscere che qui non si sta scherzando affatto: la realtà kalos kai agathos c’è, esiste da tempo, e ora ha una sua formalizzazione che fungerà da preludio a un’esplosione pazzesca di “sociabilità laziale”.
La squadra di basket di Maputo in Mozambico. Per gentile concessione della SS Lazio Generale.
Forse qualche giallorosso di tipo integralista, ad esempio un mio amico che spara mortaretti a ogni gol del Bayern, sentirà il prurito al naso nell’udire ciò; ma consideriamo che questa lazialità spinta è “a fin di bene”: l’unica partita che si vince, si vince insieme, ed è quella della reciproca conoscenza e comprensione. Si può fare sport con la Lazio indossando la mascherina giallorossa col lupetto ghignante (no… immagino che qui mi sto allargando troppo: è uscita un’eresia!)
Ma ora veniamo agli “eccezionali documenti”. Sapevate che la Lazio, tanti anni fa quando la Berta filava, aveva tra i suoi tesserati più donne e bambini che uomini nella maggiore età? E che le attività preferite non erano il pallone e l’atletica bensì l’escursionismo sui monti, le “passeggiate archeologiche”, le conferenze dei professori, i concerti, il ballo del fox-trot, le scuole di ricamo, orticoltura, arpa e pianoforte, il canto corale, la filodrammatica? E che la domenica di buon mattino, nel 1913, i “giovani esploratori” sparavano con i
moschetti al campo di tiro della Farnesina e assaltavano per scherzo il Forte Boccea, agli ordini strategici di un ufficiale dell’esercito regolare, tutti vestiti carucci con le vettovaglie al seguito, marciando compatti in fila per tre dal quartiere Prati di Castello? No, eh? E neppure riuscite a immaginarvi un asilo nido “Lazio” al Ludovisi, gestito da signore e signorine della buona borghesia, e anche di più, baronesse e contessine, felicissime loro di evitare la solitudine e l’abbandono ai bimbi e alle bimbe delle famiglie disagiate, resi orfani dagli austriaci o col papà al fronte? Questo modello assistenziale così speciale, relativo a un evento tragico al limite dell’umanamente sopportabile, fu elaborato a Milano e arrivò nella Capitale già nel 1915. La Lazio, quell’anno, stava a via Veneto nell’ex Convento dei Cappuccini. Un luogo che, come scriveva nel 1887 Paul Vasili nel suo La Société de Rome, «era una vera città di celle». Per altro, un posto santo molto caro ai romani, per via del bene profuso dai “frati del popolo”, ligi alla regola di S. Francesco, durante le epidemie di colera.
In quel faticoso ’15-18 (moltiplicate per dieci la fatica odierna…), la grande sede di via Veneto divenne il centro di tutto quel che afferiva al “mondo Lazio”. E proprio lì, in un’area densa di vita amministrativa e uffici pubblici, nacque il modello virtuoso che, oggi nel 2021, fa sorgere la “Fondazione”. Un modello basato sul binomio cultura&sport o, ancor meglio, su un trinomio, considerando l’opera di assistenza svolta. In effetti, dalla “distruzione” (la partenza per i fronti del nord-est) di molti soci sportivi, emerse la necessità di rimpiazzare i vuoti con l’elemento muliebre, estendendo i settori ricreativo-culturale e assistenziale. Una vena fabianista si impossessò della Podistica di via Veneto: la Emmelina Pankhurst e la Sofia Bisi Albini si sarebbero ritrovate in certi principi della Lazio improntati alla social-democrazia. Ad esempio, l’alternativa alla proprietà privata dei mezzi di produzione, che si avverò con la messa a grano del terreno della Rondinella. A tal fine, il presidente Fortunato Ballerini – il grande presidente che letteralmente “creò” la Polisportiva, traendola dal gruppo originario di podisti e fiumaroli – stipulò una convenzione con un mercante di campagna della zona di Frascati e destinò un terzo del terreno all’impianto di un orto, con tanto di lezioni impartite alle “socie volontarie” da un agronomo della Regia Università.
Ma il bello fu l’allestimento nella sede stessa dell’asilo nido. Nei giorni in cui le signore dell’alta società fecero a gara ad organizzare merende in villa o a mettere a disposizione case urbane e casali, e gli educatori, i ricreatori, gli istituti delle suore, le associazioni civili liberali (le Case del Soldato) o socialiste impiantarono asili popolari, promossero collette pubbliche (i “dindaroli”), colonie campestri e cucine economiche rionali e di borgata, anche la Lazio non si tirò indietro. Per quanto ne sappiamo, la “Podistica” fu l’unica associazione sportiva capitolina che rispose a codesto “stato eroico” (così lo definivano i giornali) della nazione, istruendo un asilo nido intitolato al suo quartiere. Esso fu inaugurato da un discorso di Goffredo Bellonci, letterato bolognese allievo di Giosuè Carducci, il lunedì 28 giugno del 1915, dopo lo svolgimento a Piazza di Siena di una giornata polisportiva pro Croce Rossa. I documenti d’archivio, i programmi, le locandine, le corrispondenze, depositate negli archivi pubblici, evidenziano l’attività febbrile portata avanti nei tre anni e mezzo in cui l’Asilo Nido “Lazio” rimase aperto, sotto la guida delle direttrici Giuseppina Ciacci ed Enrica Arrigo Sciuto.
Vi sono lettere firmate dalla marchesa Anna Serraggi, dal vicepresidente Gustavo Giovannoni, dalle professoresse Maria Teresa Costantino e Guglielmina Ronconi, dal generale marchese Carlo Corti – presidente, assieme all’avvocato Leo Montecchi, del comitato esecutivo dell’asilo. Lettere indirizzate a varie personalità, e tra esse la contessa Maria Cristina Pes di Villamarina, dama d’onore della regina madre Margherita di Savoia, al fine di percepire finanziamenti e premi per le lotterie di
beneficenza e gli eventi musicali e teatrali annessi. Bambini dai tre ai cinque anni, bambine dai tre ai sette, furono accuditi con quello specialissimo amore che dolcifica l’anima e genera cose buone per l’avvenire. Le mura degli ambienti dipinti con scene “ecologiche”, i pranzetti con le zuppe di verdure “a chilometro zero”, le prime letture col sillabario e la maestra accanto, i giochi infantili, le corse spensierate nei cortili e nel giardino, e perfino il giovedì al cinematografo, il teatrino delle marionette, ogni cosa fu organizzata per allontanare i piccoli dalle tristezze che avrebbero invece vissuto rinchiusi tra le mura domestiche, con le madri costrette a lavorare fuori casa in assenza dei mariti.
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Volantino di un concerto al teatro Quirino in stile crowdfunding. |
Questa era la comunità della “Lazio” ai tempi agri della Grande Guerra. Quella guerra lunga e tremenda testimoniata, in tante case romane, dai quadretti con le decorazioni avute dai nostri nonni e bisnonni. La Fondazione SS Lazio 1900 viene da lì. Ha le sue radici in una sofferenza indicibile. In un “amor-di-Patria” lontano eppure così vicino. Improvvisamente riscoperto dal comune timore.