La mostra a Sabaudia delle maglie della nazionale vista da Marco Impiglia
La mostra itinerante “Un secolo d’azzurro” fa tappa a Sabaudia. L’amico Mauro Grimaldi, alto dirigente della FIGC, scrittore e curatore dell’evento, ci ha invitati a un’anteprima che consente di visionare con calma l’allestimento. La mostra è ospitata all’hotel quattro stelle Oasi di Kufra, posto elegante, sul mare del Circeo. Il viaggetto in macchina, di poco più di un’ora dall’Eur, è stato un piacere. Con sosta sulla marina per godere dei miraggi lucenti del sole sulle onde (siamo un po’ poeti…), in quest’inverno così mite da rasentare lo scandalo.
Come stai bambina? Dove vai stasera? Che paura intorno. È la fine del mondo – ci viene da cantare con la bionda Veronica. Ma la vera fine-di-mondo è la rassegna di maglie della Nazionale, e non solo, che Mauro porta in giro per la Penisola e le isole da ormai un annetto, nonostante le epidemie imperversanti.
E dovunque, un successo di pubblico e di critica, elogi dal presidente Gravina, partecipazione di campioni che hanno prestato le maglie originali, a volte neppure lavate. E belle anche le memorabilia fornite dai collezionisti-feticisti, che il dio degli eserciti li abbia in gloria. Uno di loro ho avuto occasione di conoscerlo di persona. Si chiama Franco Camozzi e abita, beato lui, in zona.
È arrivato a poche ore dall’apertura della mostra, venerdì scorso, con un vecchio borsone sportivo a tracolla. Non discuto che l’ho guardato con schizzinoso scetticismo: ma che ha, messere, lì dentro? Se non che, il tipo ha di botto tirato fuori una maglia bianconera a strisce che pensavo fosse della Juve, e invece era stata indossata da Pelè agli inizi della sua carriera nel Santos.
Numero dieci. Dieci perché ai Mondiali in Svezia il magazziniere brasiliano aveva assegnato le maglie seguendo l’ordine alfabetico e non il ruolo: “P uguale a 10”.
Meraviglia delle meraviglie! Equazione einsteniana eupallica! Mauro era indeciso se posizionarla, la sbrindellata magliettina anni ’50, su uno dei manichini accanto alle divise degli Azzurri. Cacchio! – gli ho detto – Pelè ci ha rifilato quel golletto di testa nella finale all’Azteca del 1970, alto-cielo su Tarcisio Burgnich “la roccia”, non credi che faccia parte della storia?
Altra maglia pazzesca del Camozzi, una che ha avuto dal fratello di Gianni Brera, che a sua volta l’aveva presa dal Meazza Giuseppe detto “il balilla”. El Pepin – come stralogava il cantore Brera – lo ricordiamo come uno dei più grandi attaccanti di ogni epoca, per cui toccare quella maglia novantenne così semplice, di cotonina, è stata un’emozione quasi pari a Pelè.
Poco più in là, la terza maglia fantastique è una Paolo Rossi Le Coq Sportif dell’anno del “Pablito”.
Forse lo scudetto non proprio originale al 100%, obiettiamo Mauro ed io, che ormai siamo diventati espertissimi di tessili ed etichette, e però basta il pensiero che il cuore volta subito alto.
Ai salti e alle lacrime di gioia dell’11 luglio 1982 al Bernabeu di Madrid; alla commozione e al cordoglio per la recente scomparsa del campione pratese.
Non si muove un passo, nella mostruosa Un secolo d’Azzurro, che ci si imbatte in caposaldi del football italico: ecco la maglia numero 12 di Gigi
Buffon e una di Boniperti; quelle di Donnarumma e Chiellini; una Fedeli del 1962 utilizzata ai Mondiali in Cile; le scarpe di Omar Sivori; gli scarpini e il pallone usati alla Nations League da Marco Verratti.
Una maglia bianca con banda azzurra di Spinosi; la bianca con la striscia tricolore verticale di Daniele De Rossi, completa dei calzoncini azzurri con fibbia, fichissimi, e le scarpette celesti (!)
Vicino all’angolo dedicato a Pablito, la Diadora di un bell’azzurro foncé indossata da Gianluca Vialli, quando ancora aveva folti capelli ricci e un visetto da figlio-di-papà ma simpatico.
C’è una maglia verde scuro del burbero cowboy maremmano Bonucci, tanto per continuare con le maledette zebre. E poi, finalmente, due
colonne dell’immaginario giallorosso: Francesco Totti e Giancarlo De Sisti.
“Picchio” l’abbiamo intervistato a lungo, ci ha raccontato la storia vera della semifinale 4 a 3 vinta con la Germania a Messico ’70.
Oltre alla casacca di lana girocollo, ha prestato gli scarpini e il pallone Telstar con gli autografi.
Anche il Capitano ha scritto una volta, da “piccolo”, la prefazione a un nostro libro.
Toccare con mano le loro maglie, usate in allenamento o in gara servendo l’Italia, ci mette il fuoco addosso.
Fortuna che l’allestitore ha posizionato un estintore vicino; accortamente, nevvero.
Oltre alle maglie originali autentiche (quelle che potete comprare, pure se complete di patch a scelta a dieci euro l’uno, non sono esattamente le stesse, sapete?), la mostra Un secolo d’Azzurro offre le ricostruzioni fedeli il più possibile di tante divise dell’amatissima Nazionale.
A partire dall’esordio nel maggio del 1910 in bianco, non nel risultato (6 a 2 ai francesi) ma nelle camicie, addirittura da tight, plissettate col colletto e i polsini inamidati. Mauro mi dice che una delle due è d’epoca, nel senso che l’ha trovata identica vintage, seppure non una delle undici mitiche dell’esordio.
La cura che ci ha messo Grimaldi mi ha stupito, non lo nego. Tra l’altro, la mostra si accompagna all’uscita di tre suoi volumi che raccontano con scienza ed estro l’epopea della Nazionale, e che vengono donati alle scolaresche in visita: una visita guidata che mi sarebbe piaciuto avere avuto da bambino, negli anni ’60.
Ma mi accontento di avere visto alla tv “live” le finali dell’Europeo del ’68 all’Olimpico di Roma e del ’70 all’Azteca di Città del Messico; con Pelè, Felix, Tostao, Jairzinho e Rivelino da una parte del campo verde, Riva, Albertosi, Facchetti, Mazzola e Boninsegna schierati dall’altra. Amen.
La didattica, dunque, e un’attenzione speciale e pedagogica che l’attuale direzione di Gabriele Gravina sembra prendere in seria considerazione. Il pallone è soggetto narrante in anima, cuoio e laccetti, come in una vecchia favola di Bruno Roghi.
Prossimamente, andremo a dare un’occhiata al Museo di Coverciano, dove pure le chicche sembra non manchino. Tuttavia, fino a domenica 13, ecco a due passi da Roma la Maga Circe che offre la sua performance: un incantesimo azzurro che dura da un secolo.
E siccome la morte è banalmente democratica ma anche splenetica e, dunque, romantica, vorrei chiudere con un verso di Baudelaire, che ci sta bene: O Morte, vecchio Capitano. È ormai tempo, salpiamo.