Una mostra celebra le artiste che hanno segnato la Roma degli anni ’70 fino al 3 aprile 2025. Proiezione del Docufilm: “Francesca Woodman a Maldoror” di Carolina Lombardi, ore 19.00. Libreria-galleria il museo del louvre Roma via della Reginella 8a
Negli anni Settanta, Roma era un crocevia di esperienze artistiche e tensioni culturali, un luogo dove il fermento creativo si intrecciava con l’urgenza del cambiamento sociale. In questo panorama incandescente, in via di Parione 41, nasceva la libreria Maldoror, più che un semplice negozio di libri, un luogo di incontro, una fucina di idee, un rituale iniziatico per spiriti inquieti e visionari.
Tra le mura di Maldoror si muoveva un gruppo di donne che, attraverso linguaggi differenti, hanno plasmato un’estetica audace e irriverente. Edith Schloss, Francesca Woodman, Sabina Mirri, Monica Albasini Casetti e Cati Laporte sono state le protagoniste di un capitolo irripetibile dell’arte contemporanea, e oggi la mostra “Le ragazze di Maldoror” ne celebra il coraggio, la sperimentazione e l’eredità.
Più che una libreria, Maldoror era un universo parallelo, un archivio di estetica surrealista che si spingeva fino agli estremi del non-senso e dell’assurdo. Qui l’arte non era solo espressione, ma un atto rivoluzionario, una scintilla capace di incendiare il presente.
“La rivoluzione sono io” era la frase che risuonava tra gli scaffali, un mantra che riecheggiava tra le pareti cariche di libri e opere sperimentali. Qui, sotto le luci soffuse e tra gli odori della carta stampata, si incrociavano poeti, artisti, filosofi e spiriti inquieti. Maldoror era una festa dell’immagine, un luogo dove le idee prendevano forma e dove l’arte si faceva rito, azione, destino.
Edith Schloss: arrivata a Roma negli anni Cinquanta insieme a Cy Twombly, Robert Rauschenberg e Mark Rothko, Edith Schloss portava con sé il fuoco dell’Espressionismo Astratto. Nel 1977 diventa una delle anime di Maldoror, curando la mostra Assemblage, dove il collage e l’assemblaggio di materiali diversi diventavano manifesto della libertà creativa.
Monica Albasini Casetti: presenza costante della libreria, nel 1978 espose le sue sagome nere ritagliate nella carta, figure sospese tra ombra e memoria. Nelle sue opere, volti cancellati dalla tempera nera rivelavano dettagli nascosti: un orecchio, un occhio, un frammento di identità salvata dall’oblio.
Cati Laporte: Cati apparve a Maldoror come un fulmine in una notte d’estate. Esplosiva, teatrale, irripetibile. Si dice che una sera entrò nella libreria salendo su una sedia e gridando: “Sono la nipote di Alfred Jarry!”. Da quel momento, divenne parte del rito. Arrivata in Italia per fotografare le suore, trovò invece un’avanguardia gotica e surreale che parlava la sua lingua.
Sabina Mirri: a differenza di molti frequentatori di Maldoror, Sabina aveva già una visione lucida e strutturata dell’arte. Maldoror era un luogo diverso da tutto ciò che conosceva, un caos fecondo che la spingeva a sperimentare. Qui incontra Francesca Woodman, e la loro amicizia diventa un dialogo continuo tra visioni artistiche e pulsioni esistenziali.
Francesca Woodman: Francesca arrivò da Antella, un piccolo paese vicino Firenze. Aveva vent’anni e un’arte che parlava il linguaggio del mistero. A Maldoror si muoveva come un’ombra, fotografando se stessa, i muri, gli oggetti come se appartenessero a un sogno sospeso tra il reale e l’irreale.
Nel 1979 Francesca scrisse a Maldoror da New York: voleva organizzare una mostra per il suo compleanno, il 3 aprile. Stampò gli inviti su cartoncino bianco, ognuno con un piccolo provino fotografico incollato a mano. L’inaugurazione era fissata per il 20 marzo. Quel giorno, Francesca non c’era.
