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ACAB la serie, Giallini indossa di nuovo la divisa nel conflitto eterno tra ordine e caos

Adriano Giannini, Valentina Belle', Fabrizio Nardi, Michele Alhaique, Pierluigi Gigante, Marco Giallini, Donatella Finocchiaro attend the photocall of the Netflix television Serie 'ACAB' at Barberini Cinema Rome (Italy), January 13, 2025.

foto: Andrea Staccioli/INSIDEFOTO

Sono passati 13 anni dal film di Sollima, ACAB (All Cops Are Bastards), un film crudo e purtroppo realista. Ancora oggi, dopo anni ci chiediamo: esiste davvero un confine tra la violenza subìta e quella esercitata? E, se sì, come si attraversa? A queste domande tenta di rispondere ACAB, la nuova serie in sei episodi prodotta da Cattleya e disponibile su Netflix dal 15 gennaio. Diretta da Michele Alhaique e tratta dall’omonimo libro di Carlo Bonini, la serie esplora le complessità umane e professionali delle forze dell’ordine, scavando sotto la divisa per trovare il corpo e l’anima di uomini e donne costretti a muoversi lungo un crinale pericolosamente sottile.

Mentre la cronaca attuale riporta in primo piano immagini di scontri tra polizia e manifestanti, con lacrimogeni e manganelli a far da protagonisti, ACAB ci immerge in un mondo in cui la violenza non è mai una scelta semplice né univoca, ma il risultato di conflitti personali e sociali profondi

La serie prende avvio da una notte di scontri feroci in Val di Susa per seguire poi le vicende di Mazinga (interpretato da Marco Giallini), Marta (Valentina Bellè) e Salvatore (Pierluigi Gigante), agenti della squadra mobile di Roma guidati dal nuovo comandante Michele (Adriano Giannini). «Non è solo una storia crime e d’azione – spiega la produzione – ma uno sguardo profondo su un sistema complesso e polarizzato, in cui violenza, rabbia repressa e disillusione mettono alla prova tanto i poliziotti quanto la società che li circonda».

Tra i personaggi, uno dei più emblematici è proprio Mazinga, un agente apparentemente granitico ma tormentato da un’emotività che fatica a gestire. Marco Giallini, parlando del suo approccio al ruolo, racconta di essersi distanziato dal personaggio interpretato nel film omonimo del 2012: «Ho cercato di sfruttare un’interpretazione più psicologica, allontanandomi dall’immagine che avevo di Mazinga allora».

ACAB si inserisce in un momento storico in cui le forze dell’ordine sono al centro del dibattito pubblico, sia per il ruolo che rivestono nella gestione dell’ordine pubblico, sia per le tensioni sociali che inevitabilmente si riflettono nelle loro azioni. Come sottolinea Carlo Bonini, co-ideatore e sceneggiatore della serie, «la realtà è sempre un passo avanti alla finzione, perché ha la capacità di sorprendere chiunque sia disposto a guardarla senza pregiudizio».

Secondo Bonini, la gestione dell’ordine pubblico è indissolubilmente legata al contesto politico del momento: «Le forze dell’ordine sono uno strumento del potere esecutivo, indipendentemente dall’orientamento politico del governo. La serie affronta questa ambiguità, ponendo l’accento sul confine che separa l’uso legittimo della forza da quello illegittimo, un confine che gli agenti devono spesso decidere in pochi secondi».

Bonini conclude con un monito che va oltre la narrazione della serie: «Proprio perché lo Stato detiene il monopolio della forza, deve essere rigoroso nel punire ogni abuso. È una questione di credibilità e giustizia»

La serie sospende ogni giudizio morale, ponendoci di fronte alle contraddizioni e ai dilemmi di chi si trova, quotidianamente, a gestire situazioni limite. La linea tra vittima e carnefice, tra violenza subìta ed esercitata, si sfuma, mostrando come ogni decisione, ogni azione abbia conseguenze non solo professionali ma anche umane.

“Stare con la polizia” o “contro la polizia”. Non c’è una risposta univoca, ma il tentativo di osservare il reale con uno sguardo onesto e spietato è, di per sé, un atto di coraggio. E questa serie lo fa magistralmente.