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Imbarazzo alla festa del cinema. Studenti irridono il film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”

IL RAGAZZO DAI PANTALONI ROSA - Festa del cinema 2024

foto: Riccardo Piccioli

Il bullismo che non si ferma: la tragica vicenda di Andrea Spezzacatena rivive tra ignoranza e indifferenza

No, non è il colore rosa del pupazzo Imbarazzo della Disney del film Inside out. Di certo però la parola imbarazzo questa volta conta tanto, ha un peso specifico importante nei più giovani, quelli che hanno assistito alla proiezione in auditorium, luogo della Festa del Cinema di Roma.

Nel 2012, Andrea Spezzacatena, un quindicenne romano, si tolse la vita dopo essere stato vittima di bullismo e cyberbullismo per lungo tempo. Un evento drammatico che segnò profondamente la sua famiglia e l’opinione pubblica, portando alla luce gli effetti devastanti del bullismo, un fenomeno spesso sottovalutato ma in grado di lasciare ferite profonde.

La madre di Andrea, Teresa Manes, scoprì solo dopo la morte del figlio gli abusi che Andrea aveva subito, non solo tra i banchi di scuola, ma anche online, nel crudele mondo del cyberbullismo. Tuttavia, a dodici anni di distanza da quella tragedia, il dramma di Andrea sembra non avere ancora insegnato nulla ad alcuni, come dimostrato dalla recente reazione di centinaia di adolescenti durante la proiezione del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, ispirato alla sua storia.

Il film, presentato nella sezione autonoma “Alice nella Città” della Festa del Cinema di Roma, ha lo scopo di raccontare la sofferenza e l’isolamento vissuti da Andrea a causa del bullismo e del pregiudizio. Un’opera sceneggiata da Roberto Proia, che porta sul grande schermo una storia dolorosa, con l’intento di sensibilizzare il pubblico più giovane su temi come il rispetto, la diversità e la tolleranza. Ma la proiezione riservata a decine di classi di studenti romani presso la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica ha rivelato una cruda verità: il messaggio del film non è stato colto da molti degli adolescenti presenti in sala anzi, per la verità, è stato letteralmente pericolosamente enfatizzato.

Durante la proiezione, invece di rispettare il silenzio e comprendere il messaggio della pellicola, alcuni ragazzi hanno reagito rumorosamente con scherni, insulti e frasi omofobe, in un contesto che avrebbe dovuto invece promuovere riflessione. Alcuni tra i commenti più terribili uditi in sala sono stati «Fro*», «Ma questo quanno s’ammazza?»** e «Gay di me*»**, frasi che hanno riportato alla luce la stessa violenza verbale e psicologica che Andrea aveva subito in vita. L’episodio ha suscitato sdegno e preoccupazione, non solo per l’atteggiamento degli studenti, ma anche per il silenzio complice dei professori presenti in sala, che non sono intervenuti attivamente e fermamente per fermare gli insulti ed il comportamento inappropriato.

Quello che si è verificato durante la proiezione è un esempio inquietante di come, nonostante gli anni passati e le tragedie, la cultura del bullismo continui a sopravvivere, alimentata dall’ignoranza e dalla mancanza di educazione alla diversità. Il bullismo è una piaga che colpisce non solo la vittima diretta, ma anche la società nel suo complesso, poiché mette in luce un fallimento collettivo nell’insegnare ai giovani il valore della dignità umana e del rispetto reciproco.

La scuola, come istituzione educativa, svolge un ruolo fondamentale nella lotta al bullismo, poiché è il luogo dove bambini e adolescenti passano gran parte del loro tempo e dove imparano non solo nozioni accademiche, ma anche valori sociali e relazionali. La pedagogia, con i suoi metodi e approcci, è tuttora un concetto attuale e cruciale per sviluppare strategie di prevenzione e gestione del bullismo, promuovendo l’inclusione, il rispetto e l’empatia.

Gli insegnanti, se formati adeguatamente, possono essere una risorsa chiave per rilevare, affrontare e prevenire i fenomeni di bullismo. Tuttavia, alcuni possono evitare di intervenire di fronte a frasi ingiuriose per vari motivi: mancanza di formazione specifica, timore di ripercussioni o di complicare situazioni delicate, oppure una percezione sbagliata della gravità di certi comportamenti. In questo contesto, è essenziale una maggiore formazione e consapevolezza per favorire un intervento attivo e consapevole da parte degli educatori. In tutti questi casi si tratta di un atteggiamento estremamente grave. Di certo averlo fatto davanti ad una madre che ha perso un figlio rimane, più che imbarazzante, estremamente sconcertante.