A cinque anni dal suo ultimo lungometraggio Tornare, Cristina Comencini ritorna alla regia con Il treno dei bambini, un film che fa il suo debutto alla XIX Festa del Cinema di Roma e sarà disponibile su Netflix dal 4 dicembre. Questo ritorno segna una coincidenza curiosa e significativa: nello stesso anno in cui sua sorella, Francesca Comencini, è tornata al cinema con Il tempo che ci vuole, una pellicola dal forte contenuto autobiografico e un commosso omaggio al loro padre, Luigi Comencini, Cristina si cimenta con un progetto che sembra, a sua volta, profondamente radicato nell’eredità familiare. Non è una coincidenza che proprio Il treno dei bambini si riveli il suo lavoro più strettamente legato alla poetica del padre, maestro del cinema italiano che ha raccontato spesso l’infanzia e le difficoltà sociali con una sensibilità inconfondibile.
Tratto dal bestseller di Viola Ardone, Il treno dei bambini racconta la storia di Amerigo, un bambino di otto anni che vive nella Napoli del dopoguerra, una città segnata dalla devastazione delle bombe e dalle cicatrici della Storia. Per salvare il piccolo Amerigo dalla denutrizione e dalle strade pericolose della città, la madre (interpretata con intensità da Serena Rossi) accetta di affidarlo a un programma organizzato dal Partito Comunista: un viaggio in treno verso il Nord Italia, dove famiglie benestanti accoglieranno i bambini napoletani durante i mesi invernali. Nel caso di Amerigo, ad attenderlo c’è una donna sola, costretta ad ospitarlo suo malgrado, ma che si rivelerà una figura chiave nella sua vita.
Cristina Comencini riesce a raccontare questa storia con un’attenzione autentica e sensibile, aderendo all’avventura umana del suo piccolo protagonista. Christian Cervone, che interpreta Amerigo, è notevole nel rendere la vulnerabilità e la forza del bambino, e incarna perfettamente quel senso di speranza che si oppone alla miseria circostante. Amerigo, con il suo cognome “Speranza”, diventa così un simbolo di resilienza, di quella luce che può sopravvivere anche nei momenti più bui.
Uno degli aspetti più affascinanti del film è il modo in cui Comencini esplora le diverse sfaccettature della maternità. Da un lato, la madre di Amerigo è una donna segnata dalla povertà, intrappolata in una vita di privazioni e sottomissione. Il personaggio interpretato da Serena Rossi è al tempo stesso forte e vulnerabile: una figura che non conosce altro linguaggio se non quello della sopravvivenza e del sacrificio, ma che è anche un corpo oggettificato, vittima delle voglie del guappo interpretato da Francesco Di Leva. Dall’altro lato, l’affidataria di Amerigo nel Nord Italia (portata sullo schermo con grande bravura da Barbara Ronchi), è una donna colta, emancipata e impegnata politicamente, ma che non riesce a farsi realmente accettare dai suoi compagni. Il film esplora le contraddizioni di queste due donne, costrette entrambe a ruoli prestabiliti dalla società, e mette in evidenza le difficoltà della maternità sia quando è tormentata che quando è inattesa.
Il treno dei bambini è un film che sa toccare le corde del cuore, anche se rischia talvolta di cadere nel kitsch, soprattutto nelle sequenze ambientate a Napoli. Alcuni momenti sono volutamente caricaturali, come le scene che vedono Dora Romano recitare la parte della donna che fa propaganda contro i comunisti con l’idea strampalata che “mangino i bambini”. Anche la truffa dei topi tinti di bianco, pur divertente, sembra riprendere certi stilemi del folklore partenopeo in maniera quasi troppo illustrativa. Tuttavia, è nel passaggio al Nord, nel capitolo modenese della storia, che il film trova il suo equilibrio e una tonalità più quieta e riflessiva, richiamando atmosfere che sembrano uscite dal miglior Pupi Avati.
Un elemento che sembra fuori posto è la cornice narrativa ambientata nel 1994, con Stefano Accorsi nel ruolo di Amerigo ormai adulto, che ritorna nei Quartieri Spagnoli dopo anni di lontananza. Queste sequenze richiamano inevitabilmente l’estetica e il tono malinconico di Nostalgia, ma rischiano di risultare un po’ posticce rispetto al resto del film. Nonostante questo, Il treno dei bambini rimane un’opera squisitamente popolare, capace di parlare a un pubblico ampio e di coinvolgere anche chi non ha letto il romanzo originale.
La pellicola si presenta come un omaggio dedicato ai bambini e alle madri di tutte le guerre, mettendo in luce le loro sofferenze e le loro speranze. Comencini esplora le dinamiche della maternità e della genitorialità con uno sguardo delicato, attento a non scivolare nel melodramma, e allo stesso tempo consapevole delle profonde contraddizioni di questi legami.
Non è un caso che la regista condivida due degli sceneggiatori di Il treno dei bambini con il recente successo C’è ancora domani di Paola Cortellesi: Furio Andreotti e Giulia Calenda, a cui si aggiunge Camille Dugay, figlia di Francesca Comencini. Le due opere, pur distinte, sembrano dialogare tra loro, raccontando un’Italia che si confronta con il proprio passato, con un periodo storico segnato dalla speranza di un futuro diverso.
Se C’è ancora domani di Cortellesi trova una sua forza in una rappresentazione ricca di fantasia e poesia, Il treno dei bambini è più radicato in una ricostruzione classica e illustrativa, che a tratti può risultare un po’ scolastica. È proprio in questa linearità che si percepisce l’eredità del padre di Cristina Comencini, Luigi, maestro del cinema italiano che ha sempre saputo raccontare l’infanzia con semplicità e profondità.