Sul finire dell’800 Oscar Wilde era l’uomo più noto di Londra, nella buona e nella cattiva sorte.
Sul finire dell’800 Oscar Wilde era l’uomo più noto di Londra, nella buona e nella cattiva sorte. Il nuovo film di Rupert Everett racconta gli ultimi anni di vita di Oscar Wilde, quelli successivi alla condanna “per atti di indecenza” e ai due anni di reclusione nonché come il protagonista arrestato dalle forze dell’ordine inglesi per via della sua dichiarata omosessualità, ritenuta scandalosa. Una volta uscito di prigione, intraprenderà una serie di viaggi che lo condurranno a Parigi e a Napoli e saranno l’occasione per consolidare la sua relazione con il giovane Lord Douglas.
In una scena molto forte e significativa, che si svolge a circa metà film in una Chiesa, Wilde è costretto a rifugiarsi in questo luogo sacro per proteggersi da giovani spavaldi e offensivi che lo rincorrono e beffano privandolo della cosa più importante: la libertà. Perché Oscar Wilde dopo la prigione non ha ritrovato la vera e sincera libertà, ma è rimasto vittima dell’opinione altrui e dell’esilio.
Esordire alla regia, oltre come attore ed autore di questo bioptic semplice ed intelligente a quasi sessant’anni non è impresa da tutti: ci è riuscito Rupert Everett, celebre attore britannico classe 1959, che ha tentato il grande passo con «The Happy Prince», incentrato proprio sull’ultima parte della vita di Oscar Wilde alternando sequenze più didascaliche ad altre particolarmente coraggiose per la messinscena utilizzata. Everett infatti descrive gli aspetti più cupi della personalità di Wilde e opta per una regia asfissiante e claustrofobica, efficace per rappresentare la situazione emotiva vissuta dal grande scrittore irlandese.
Il risultato è un’opera prima imperfetta, ma interessante e sincera, che merita di essere vista.
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