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Visto per voi – Eterno visionario: Michele Placido racconta l’uomo dietro il genio di Pirandello

Roma Italy - 19 Oct 2024 - Red Carpet - ETERNO VISIONARIO - Festa del cinema 2024

foto: Riccardo Piccioli

In viaggio verso Stoccolma per ricevere il Premio Nobel per la letteratura nel 1934, Luigi Pirandello (interpretato da Fabrizio Bentivoglio) ripercorre mentalmente le tappe più significative e tormentate della sua vita. Michele Placido porta sul grande schermo questo viaggio introspettivo con il film Eterno visionario, tratto dal libro Il gioco delle parti. Vita straordinaria di Luigi Pirandello di Matteo Collura. È un racconto che si sviluppa tra il dolore personale e la ricerca artistica, intrecciando la figura dell’uomo a quella del drammaturgo e scrittore, in una narrazione che mescola biografia e dramma esistenziale.

Il film si apre sul treno che conduce Pirandello verso la cerimonia del Nobel, un viaggio fisico che diventa anche simbolico: l’occasione per ripercorrere gli episodi più significativi della sua esistenza. Tra questi, il rapporto sofferto e doloroso con la moglie Antonietta, interpretata con intensità da Valeria Bruni Tedeschi. La donna, disturbata mentalmente e infine internata, rappresenta una ferita aperta nella vita di Luigi, un legame d’amore consumato dal dolore e dall’incomprensione. Le scene che li ritraggono insieme mostrano un Pirandello fragile, che soffre e al contempo sembra temere quel dolore esistenziale che lo accomuna a sua moglie, come se il male di vivere di Antonietta fosse solo un riflesso oscuro di un tormento che egli stesso conosce troppo bene.

Il film esplora anche l’amore platonico con Marta Abba (interpretata da Federica Luna Vincenti), la musa e attrice che accompagnò Pirandello negli ultimi anni della sua vita. Un sentimento non consumato, ma comunque profondamente significativo, che alimenta la sua ricerca artistica e si fonde con la sua produzione teatrale. In una delle scene più toccanti del film, Luigi rinuncia a baciarla e si osserva allo specchio, guardando dritto in macchina e, quindi, rivolgendosi al pubblico. Un momento di profonda consapevolezza, in cui il confine tra Pirandello uomo e personaggio si dissolve, e l’arte diventa uno specchio doloroso della sua esistenza. Federica Luna Vincenti incarna l’ispirazione e la musa, ma anche il limite di un amore che non può realizzarsi. La loro relazione diventa il simbolo di una ricerca artistica e affettiva che non trova mai pace, un legame che è insieme fonte di ispirazione e di sofferenza.

La regia di Michele Placido opta per un registro enfatico e teatrale, che potrebbe inizialmente risultare distante per chi lo osserva con uno sguardo contemporaneo. Questa scelta stilistica non è priva di significato. Nell’epoca di Pirandello, la retorica non era solo una forma di espressione, ma un mezzo per innalzare l’animo e cercare verità più profonde. Placido utilizza questa teatralità per avvicinarsi alla poetica pirandelliana, intrecciando l’arte e la vita sul piano emotivo più che intellettuale, e mostrando un Pirandello meno cerebrale, più umano, che trova nell’arte un rifugio e una valvola di sfogo per la sua inquietudine.

La sceneggiatura si permette anche di spaziare in parentesi metanarrative che rendono omaggio alla poetica dell’autore siciliano. In queste sequenze, la storia lascia spazio a una riflessione sul significato stesso della rappresentazione, sul concetto di verità e finzione, temi cari a Pirandello e ricorrenti nelle sue opere teatrali. Le parole diventano esplosioni emotive, tentativi disperati di raggiungere una verità sfuggente, condannati dalla loro stessa natura a rimanere incompleti.

Fabrizio Bentivoglio regala una performance straordinaria nel ruolo di Pirandello, riuscendo a trasmettere tutta la complessità emotiva di un uomo diviso tra il suo bisogno di creare e la sua incapacità di vivere pienamente. Il suo Pirandello è elegante, ma fragile; un uomo che cerca disperatamente di dare un senso alla vita attraverso l’arte, ma che non riesce a liberarsi dalle sue contraddizioni interiori. Bentivoglio costruisce il personaggio con una delicatezza che nasconde una sofferenza profonda, rendendo Pirandello un protagonista che suscita empatia e ammirazione.

Oltre a Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi emerge con una delle interpretazioni più potenti del film. Nei panni di Antonietta, riesce a dare vita a un personaggio complesso e tormentato, che rappresenta una delle ombre più pesanti nella vita di Pirandello. Antonietta non è solo la moglie disturbata; è un simbolo di quel dolore che il drammaturgo cerca di comprendere e affrontare nelle sue opere, ma che non riesce mai a dominare del tutto. Il rapporto tra loro è tratteggiato con sensibilità e realismo, lasciando spazio a silenzi carichi di significato e sguardi che rivelano più di quanto le parole possano esprimere.

Eterno visionario non è un film che cerca di incarnare la complessità linguistica di Pirandello come fece, ad esempio, Roberto Andò con La stranezza. Michele Placido sceglie di raccontare l’uomo dietro l’artista, mostrando come le esperienze personali abbiano influenzato la sua produzione creativa. È un Pirandello umano, pieno di contraddizioni e fragilità, che emerge dal racconto; un artista che cercava la verità nell’arte perché incapace di trovarla nella vita quotidiana.

Il film celebra Pirandello senza idealizzarlo, rivelando anche i lati più oscuri e conflittuali del suo carattere.

Eterno visionario è un film che riesce a portare lo spettatore dentro la mente di Luigi Pirandello, rivelando le sue angosce, i suoi amori, le sue ossessioni. Non è un’opera che cerca la perfezione stilistica, ma che si concentra sull’essenza delle emozioni e delle esperienze vissute da uno dei più grandi drammaturghi italiani.