Esordio dietro la macchina da presa per Patricia Arquette: “Gonzo Girl” è un viaggio nostalgico che celebra Hunter S. Thompson e il giornalismo gonzo in un’epoca di cambiamento culturale.
Il tempo è un cerchio, e nessuna epoca è veramente passata: “Gonzo Girl”, l’attesissimo film d’esordio alla regia di Patricia Arquette, premio oscar 2015 come miglior attrice non protagonista, ne è la prova lampante. Se l’obiettivo della regista fosse stato quello di confondere le linee temporali, sarebbe difficile dire che non ci sia riuscita in pieno. Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, questo lungometraggio è un omaggio esplicito agli anni di ribellione culturale, nonostante sia ambientato all’alba dei fluttuanti anni ’90.
Sulle tracce di “Paura e disgusto a Las Vegas”, “Gonzo Girl” non è soltanto un film, è un viaggio a ritroso in quel periodo sfrenato che è stato l’apice del giornalismo gonzo, un’era che l’iconico Hunter S. Thompson ha incarnato come nessun altro. Questo lungometraggio trasporta lo spettatore nel cuore pulsante di un movimento che ha saputo trasformare il giornalismo in un arte senza tempo, sprigionando un’aura quasi lisergica che evoca un’epoca passata, pur parlando al presente.
Il film si muove al confine tra realtà e finzione, trascinandoci nell’universo senza tempo di Walker Reade (magistralmente interpretato da Willem Dafoe), una figura che non può non ricondurre al leggendario Thompson. Arquette gioca con i simboli di quell’era: gli occhiali colorati, le notti insonni, la musica rock, il fumo di sigarette in una stanza chiusa. Tuttavia, non c’è nostalgia senza autenticità, e la regista riesce a catturare questo sentimento con un rigore stilistico che fa onore al cinema indipendente degli anni ’70, riproponendo la sensazione di un’epoca ribelle che ha segnato la storia moderna.
Aley, interpretata da Camila Morrone, è il cuore pulsante del film, l’aspirante scrittrice che si immerge nel caos creativo di Reade, diventando discepola e musa di un mondo che l’attraversa e la trasforma. Camila Morrone brilla nella sua interpretazione, rappresentando con freschezza e innocenza il contatto tra due mondi: quello della giovinezza e quello del genio tormentato e visionario.
“Gonzo Girl” diviene così metafora di un percorso di crescita, un rito di passaggio che è allo stesso tempo personale e universale, una discesa negli inferi di un’anima tormentata che trova nel suo viaggio l’ispirazione e la forza per emergere. Patricia Arquette intesse un dialogo non solo con il suo pubblico ma anche con la storia del cinema, e fa dell’estetica un ponte tra generazioni, riuscendo ad abbracciare il passato e il presente in un’unica, coesa narrazione visiva.
L’operato di Arquette, sia di fronte che dietro la macchina da presa, si inserisce nella storia con un’interpretazione memorabile della segretaria, mentre il resto del cast, da Elizabeth Lail a un breve ma significativo cameo di Sean Penn, impreziosisce ulteriormente la narrazione con performance calibrate e intense.
“Gonzo Girl” è, in ultima analisi, un canto di celebrazione per un’epoca, una storia, un genere giornalistico e i suoi protagonisti. È un film che, come un’onda, porta con sé l’eco di un periodo irripetibile, ma anche la promessa che il genio creativo non ha tempo, né confini. Arquette, con il suo primo film, non solo omaggia una leggenda, ma si propone di diventare essa stessa parte di quella tradizione cinematografica senza tempo.