Il sipario si è aperto sulla Festa del Cinema di Roma, e a dominare la scena nel primo giorno dell’evento è stata l’incomparabile Paola Cortellesi. L’attrice e ora anche regista romana ha inaugurato la manifestazione con il suo film di debutto alla regia, “C’è ancora domani”, un’opera emozionante in bianco e nero che cattura e celebra l’essenza della Roma e dell’Italia degli anni ’40.
“C’è ancora domani” non è solo un film, ma una potente narrativa che alterna sapientemente momenti di drammaticità e ironia, raccontando storie di donne inosservate ma indomabili, e offrendo al contempo uno sguardo profondo su tre generazioni di uomini. La Cortellesi, mettendo in luce il suo talento anche dietro la macchina da presa, ci immerge in un racconto vibrante, che sollecita riflessioni su temi dolorosamente attuali, illustrando il suo profondo amore e rispetto per le donne che hanno navigato attraverso le tumultuose acque della storia.
In conferenza stampa, la Cortellesi ha condiviso le sue riflessioni e la sua visione, esprimendo il desiderio di celebrare e onorare quelle donne non celebrate, le cui vite sono state contrassegnate da lotta e resilienza. Con sincerità e passione, l’attrice e regista ha delineato il cuore del film, parlando dei personaggi e delle intricate trame di violenza, prevaricazione, amore e speranza.
Il film segue le vicissitudini di Delia, interpretata dalla stessa Cortellesi, una madre e moglie che attraversa la vita con stoica resistenza in una Roma che porta ancora le cicatrici della guerra, mentre cerca di trovare spazi di leggerezza e speranza. La storia si sviluppa tra la brutalità e la tenerezza, con un cast eccezionale che include Valerio Mastandrea e altri talenti romani che hanno contribuito a creare un’atmosfera autentica e vibrante.
Nel complicato tessuto sociale dove si intrecciano storie di dolore e resistenza, emerge potente la figura di Delia, una donna immersa in un universo popolare e impregnato di povertà. Delia condivide la sua esistenza con Ivano, suo marito, in un mondo dove le ombre della violenza, sia fisica che psicologica, pesano in modo opprimente sulla quotidianità delle donne. Questo scenario è il cupo teatro dove si svolge una saga familiare marchiata da generazioni di uomini il cui comportamento violento sembra essere una tragica eredità, un sinistro rituale che si ripete in modo incessante.
Le figure maschili che popolano la vita di Delia sono modellate secondo un prototipo di uomo che trova nella violenza una sorta di rifugio, una maniera distorta di affermare il proprio dominio e la propria identità. C’è una sinistra omogeneità nelle diverse generazioni maschili che incontriamo attraverso la storia: ognuno sembra trovare un pretesto, un motivo che giustifica il proprio comportamento aggressivo. Che sia la brutalità fisica o la tormentata violenza psicologica manifestata attraverso il possesso e la mancanza di ascolto, ogni uomo sembra aggrapparsi a una ragione per scagliare il proprio tormento sulle donne, lasciando cicatrici invisibili ma profonde.
Ivano, il marito di Delia, è un uomo imprigionato nelle catene dell’ottusità e dell’indolenza. Egli è pervaso da un’ira costante, una rabbia che trova la sua giustificazione nelle battaglie personali e nelle esperienze traumatiche della guerra. “Ho fatto due guerre”, rivendica, usando questo mantra come uno scudo che gli permette di riversare il suo dolore e la sua frustrazione sulle spalle di Delia.
Delia, d’altra parte, è un pilastro di forza e resilienza. La sua solidità interiore la rende capace di sopportare le tempeste della vita con una tenacia che contrasta con la debolezza manifesta dalle figure maschili che la circondano. Delia vive in un ambiente dove la mancanza di rispetto nei confronti delle donne è una norma tacitamente accettata, una crudele routine che le donne sono costrette a navigare.
Il personaggio di Delia è un microcosmo che rispecchia una realtà più ampia, una riflessione sulla società e sulle dinamiche perverse che governano i rapporti di genere. È una lente attraverso cui osservare le innumerevoli sfumature della violenza di genere, un fenomeno che, nonostante la sua ubiquità, continua a essere avvolto da strati di ignoranza e indifferenza.
Questo racconto, tuttavia, non è solo una descrizione della sofferenza e del dolore. È anche un inno alla forza silenziosa delle donne come Delia, che, nonostante le avversità, riescono a mantenere accesa la fiamma della speranza e della resistenza. La loro lotta non è solo una battaglia personale, ma un richiamo potente e universale per cambiare una narrativa velenosa che ha avvelenato le relazioni umane per troppo tempo.
Mentre ci immergiamo nel mondo di Delia, siamo chiamati a riflettere su come possiamo essere parte del cambiamento, contribuendo a smantellare le strutture e gli atteggiamenti che perpetuano la violenza sulle donne. La storia ci invita a essere testimoni attenti, a riconoscere le varie forme che la violenza può assumere e a combattere con determinazione per un mondo in cui le donne possano vivere libere da paura e oppressione.
L’esordio alla regia di Paola Cortellesi è un tributo alla sua versatilità artistica e una promessa di ulteriori opere avvincenti in futuro. “C’è ancora domani” non è solo un film, ma un affresco vivace e toccante, che coniuga storia, arte e umanità, delineando con amore e rispetto i contorni delle vite delle donne e delle sfide che hanno affrontato, in un tessuto narrativo ricco di emozione e di significato profondo.