La presenza delle figure politiche agli eventi culturali di grande risonanza non è mai un fatto casuale. È spesso letta come un segnale di sostegno, impegno e riconoscimento nei confronti di determinati temi o personaggi. Quando un ministro della Cultura non partecipa a un evento importante, come l’apertura della Festa del Cinema di Roma, le interpretazioni non mancano, soprattutto in un contesto dove la memoria storica e la sensibilità politica sono al centro dell’attenzione.
All’apertura della Festa del Cinema di Roma, la proiezione del film di Andrea Segre dedicato a Enrico Berlinguer, storico leader del Partito Comunista Italiano, era attesa con grande interesse. Tuttavia, a fare notizia fu l’assenza del ministro della Cultura, Alessandro Giuli (per la cronaca Gasbarri era presente, assieme all’on. Mollicone che ha calcato più volte il carpet o meglio la zona antistante il palco dei fotografi anche nei giorni successivi). Una scelta che non passò inosservata e che generò critiche da parte di molti nel settore culturale, un ambiente che già aveva accolto con scetticismo la nomina di Giuli al dicastero della Cultura.
Molti hanno interpretato l’assenza come un gesto politico, un possibile segnale di distacco da una certa parte della storia e della memoria politica italiana. Le accuse di scortesia si sono moltiplicate, e la mancata partecipazione all’evento dedicato a Berlinguer, una figura simbolo della sinistra italiana, è stata letta da alcuni come un rifiuto implicito di riconoscere il valore di quella eredità storica.
Il ministro Giuli ha cercato di chiarire la sua posizione. Non si trattava di un atto politico, ha spiegato, ma di una questione di salute. «Non sono potuto venire all’inaugurazione perché sono arrivato tardi, tardissimo, malconcio, da Francoforte: ho avuto l’otite», ha dichiarato il ministro. La sua scelta di non presentarsi all’apertura, a suo dire, era dettata dalla volontà di evitare ulteriori malintesi, visto il ritardo considerevole.
Non tutti hanno accolto questa spiegazione con favore. La sua assenza è stata interpretata come l’ennesima conferma di un rapporto difficile con un settore che ha visto la sua nomina come poco promettente. Un settore in attesa di risposte e sostegno, ma che ha percepito la mancata partecipazione del ministro come un segnale di distacco.
Giuli ha anche cercato di dissipare i sospetti di un disinteresse nei confronti della figura di Berlinguer, rivelando che aveva cercato di portare una mostra su di lui al MAXXI, senza però riuscire a realizzare il progetto. Questo tentativo, pur non concretizzandosi, indicava, secondo Giuli, una volontà di onorare anche figure politiche distanti dalle sue personali convinzioni.
A distanza di pochi giorni, però, il ministro si è presentato puntuale alla proiezione del documentario “Liliana”, dedicato alla vita e alla testimonianza della senatrice a vita Liliana Segre. La sua presenza all’evento ha attirato l’attenzione, soprattutto perché in contrasto con l’assenza alla proiezione dedicata a Berlinguer.
In una domenica in cui il cinema omaggia una donna straordinaria, la presenza di Giuli ha assunto un significato particolare. Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto e testimone instancabile degli orrori vissuti nei campi di concentramento, rappresenta un simbolo vivente dell’importanza della memoria storica. Giuli non ha mancato di sottolineare il suo personale rispetto e la sua amicizia con la Segre, già consolidata ai tempi in cui era presidente del MAXXI.
Sul red carpet, il ministro è apparso con un completo di velluto liscio bordeaux, accompagnato dalla moglie Valeria Falcioni e dal presidente della Fondazione Cinema per Roma, Salvo Nastasi. L’apparizione di Giuli in un contesto così carico di significato è stata letta da molti come una scelta consapevole di ribadire l’importanza di certe figure storiche, indipendentemente dalle appartenenze politiche.
Durante l’evento, Giuli ha dichiarato: «Il monopolio dell’antifascismo non esiste, con tutto il rispetto per gli antifascisti dell’ultima generazione». Una frase che ha suscitato diverse reazioni, ma che intendeva sottolineare che la memoria delle persecuzioni e degli orrori del passato deve appartenere a tutti, non solo a chi si identifica con una determinata ideologia politica.