Un anno fa il Rock and Roll perdeva uno dei chitarristi più importanti della musica italiana.
Eppure non è l’America a segnare i suoni di una Roma in pieno boom economico, tra lambrette e grattachecche, ma quel suono nostrano, spensierato, ritmato e pieno di sogni che strizzano l’occhio ai juke-box con le luci al neon colorate, alle gambe a dondolo, ai flipper, ai ping-pong e agli ye-ye urlati a squarciagola sulla sabbia rovente.
Enrico Ciacci è stato il chitarrista italiano che per primo ha avuto tra le mani la mitica Fender Stratocaster FiestaRed: un sogno adolescenziale di ribellione per tutti quei ragazzi del dopoguerra che con i capelli impomatati seguivano il mito di James Dean. Le onde del mare, il surf, le camicie hawaiane e quei ciuffi a banana che sbucavano – come un dito puntato in faccia – dai giubbotti di pelle nero cuoio. La moto, la velocità e la voglia di spensierata allegria.
Enrico Ciacci è stato non solo il fratello del compianto Little Tony, ma un turnista eccellente e pieno di talento esecutivo, fatto di precisione, tecnica e abilità melodica. Ha dato il suono a tutti quei dischi che, almeno una volta nella nostra vita, abbiamo ascoltato, anche per caso. È stata la fortunata chitarra di Luigi Tenco, Rita Pavone, Gianni Morandi, Claudio Baglioni, Bobby Solo, Franco Califano, I Vianella, per citarne alcuni. Negli anni ’60 e ’70 è il chitarrista resident e più richiesto della RCA per la quale firma un contratto anche come artista solista con la sua band La Cricca.
Scrive e collabora in maniera viscerale con suo fratello Little Tony, firmando molti dei suoi successi. Ma è stato il cinema a portare la fama e il grande splendore al suo personale carisma sonoro, infatti il Maestro è stato la chitarra solista del Premio Oscar Ennio Morricone; è sua la frase chiara e western in Per un pugno di dollari. Collabora con Nino Rota e Luis Bacalov e si cimenta nella conosciutissima sigla del telefilm Sandokan dei fratelli De Angelis, con il sitar. Sonorità che spaziano tra il rock and roll e il finger-picking, per le quali viene considerato – da Mark Knopfler dei Dire Straits – un mentore fondamentale.
La sua carriera è ricca di collaborazioni e di incontri fortunati che lo portano a contraddistinguersi per il suono brillante che gioca tra delay stretti e uso della leva come dettaglio estetico.
Con il Maestro Ciacci si spegne quell’amplificatore che rappresenta un periodo storico al quale noi tutti, almeno in ambito culturale e musicale, siamo riconoscenti e debitori per averci mosso il cuore e lo stomaco, per averci fatto sognare e conoscere gli occhi di chi ha ormai capelli bianchi, ossa stanche e storie di merende della scuola da raccontare, ma – come si dice sempre – «il rock and roll non invecchierà né morirà mai» e noi, con una sconosciuta nostalgia, abbiamo almeno la fortuna di poter mettere su un vecchio 45 giri, chiudere gli occhi e fare finta di tornare al passato tra i rockabilly e le gonne a pois e continuare a scuoterci nel famoso ballo della scuola o meglio della vita.
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