L’album più politico di Fabrizio De André, quello in cui un impiegato, trascinato dall’impeto del movimento del ’68 si confronta e si unisce al movimento stesso da individualista anarchico, una bomba “al ballo mascherato”, dove ci sono tutti i simboli di ogni potere, da quello culturale (Dante) a quello religioso (Cristo e Maria), quello politico (l’ammiraglio Nelson) e anche quello parentale (il padre e la madre). L’album forse più crudo di Faber, quello in cui si espone politicamente per la prima volta, viene riarrangiato in chiave moderna lasciando intatta la truttura originaria da Cristiano de Andrè.
A Porta di Roma Live 2019 è quindi grande musica d’autore, quella che ha fatto davvero la storia musicale dei cantautori poeti del secolo scorso, quello dei sogni e delle parote che arrivano al cuore ed alla mente come macigni, il catautorato di rivolta.
Incredibile davvero la somiglianza di Cristiano con il padre, dal lato espressivo, fino alla somiglianza della voce che sembra un segno di continuità, quasi una prosecuzione o meglio, come afferma Cristiano «un sacerdote che porta la parola del Padre, come in una messa laica».
L’album che racconta un movimento tanto lontano, eppure ancora tanto vicino, sembra adattabile ai giorni nostro nostri, canzoni che sembrano scritte ieri con una poetica raffinata e graffiante che viene ripercorsa brano dopo brano sul palco di Porta di Roma nel concerto gratuito.
Ma il ricordo di Fabrizio De Andre, in questo concerto non si è limitato a questo album storico, ci sono anche brani che hanno reso immortale il grande Faber, creando una trama logica lasciando volutamente fuori dalla scaletta i brani più celebri come “Bocca di Rosa”, “La Canzone di Marinella”, “La guerra di Piero”, canzoni che in questo Live possono fuorviare l’ascoltatore lasciando perdere quel filo che unisce i brani di questo il concept album: Dalla “Canzone del Maggio” ed il suo preludio che porta all’idea dinamitarda de “La bomba in Testa” per far saltare il potere nel “Ballo mascherato” al giudizio in tribunale della “Canzone del Padre” che porta alla condanna e la conseguente esperienza carceraria di “Nella mia ora di libertà” fino a passare con un salto cronologico al maxiprocesso di “Don Rafaè” per concludersi con all’attacco al potere religioso con il “Testamento di Tito” tratto dai vangeli apocrifi.
Un filo conduttore ideato da Faber, Bentivoglio e Nicola Piovani che ancora oggi, estremizzando, porta analisi politica e rabbia e che ben si adatta alle conseguenze politiche attualizzate.
Quindi possiamo affermare che il Live di Cristiano è ora un’opera rock che rende attuale la “Storia di un impiegato” del 1973, un viaggio nell’utopia, nella logica del potere, della paura conseguente, dell’inabissamento delle qualità individuali a discapito delle esigenze globali con il refrain che rimane in testa: “Per quanto voi vi crediate assolti / siete lo stesso coinvolti”.
Chiudono il live alcuni dei grandi classici deandreiani come “Amore che vieni amore che vai”, “Quello che non ho”, “Fiume Sand Creek”, “Creuza de mä” e nel bis “Il pescatore” nel famosissimo riarrangiamento del 1975 ad opera dello stesso Fabrizio De Andre con la PFM.