Ci ha messo quasi quarant’anni, ma finalmente Zucchero arriverà al Circo Massimo. Dopo lo Stadio Olimpico, i sold out a Caracalla e decine di concerti nella capitale, mancava solo questo traguardo, il più prestigioso. Il bluesman reggiano, 69 anni, lo raggiungerà il 23 e 24 giugno con il suo Overdose d’amore tour, chiamato così proprio in omaggio a uno dei brani simbolo di Oro, incenso & birra, l’album che nel 1989 lo consacrò definitivamente, portandolo all’attenzione internazionale.
Un tour che sa di celebrazione ma anche di rivincita, ripensando a quella prima volta mancata a Roma, nel 1989, quando il concerto previsto allo Stadio Flaminio fu improvvisamente spostato al Mattatoio. “Quelli che avevo invitato, come Paul Young ed Eric Clapton, pensavano di suonare in una grande arena e invece ci siamo trovati a correre ai ripari”, ricorda oggi Zucchero con una risata tra ironia e nostalgia. Ora però il cerchio si chiude, e l’arena più suggestiva della città si trasformerà per due sere in un luogo dove la musica e la storia si incontrano.
Per l’occasione, il Comune realizzerà una struttura con 13mila posti a sedere, “perché il mio pubblico ormai vuole stare comodo”, ammette lui stesso con la schiettezza che lo contraddistingue. E come sempre, Zucchero non esclude sorprese: il sogno è quello di avere sul palco ospiti d’onore di caratura internazionale. “Bono Vox o Sting? Perché no? Ho saputo che mi sta cercando Bob Geldof, chissà che non stia pensando a qualcosa di speciale”, svela il cantante, con un sorriso che lascia intendere quanto i progetti in cantiere possano diventare realtà in un attimo.
Non è un caso che a luglio ricorreranno i quarant’anni dal leggendario Live Aid di Wembley e vent’anni dal Live 8, che nel 2005 vide anche Roma protagonista, proprio al Circo Massimo. “Fu la mia prima volta lì, anche se insieme a tanti altri”, ricorda Zucchero. Ora, il palcoscenico sarà tutto per lui. E se da una parte guarda alle collaborazioni internazionali, non chiude certo la porta ai colleghi italiani: “Ho cantato con Venditti e De Gregori, perché no? Se Jovanotti vuole venire a saltare due minuti sul palco, è il benvenuto. La differenza è che dagli artisti stranieri arriva subito una risposta: sì o no, senza giri di parole”.
Quel che conta, però, è essere pronti. E Zucchero lo è sempre stato. Racconta di come nel 2023, in un pomeriggio qualunque, i Coldplay lo abbiano chiamato alle 15 per invitarlo a salire sul palco di San Siro quella stessa sera. Alle 19 era già lì a improvvisare con Chris Martin Diamante ed Hey Man. “Spesso le cose più belle nascono così, senza prove, senza programmi. È il bello di questa vita”, confessa.
La scaletta delle serate romane sarà decisa solo all’ultimo, come sua abitudine. Saranno due ore di musica che viaggeranno tra i grandi classici, da Diavolo in me a Miserere, passando per X colpa di chi e Così celeste, muovendosi tra le due anime che da sempre caratterizzano il suo repertorio: quella spirituale e quella da osteria. Un’energia che arriva da lontano, dai piccoli locali dove ha imparato il mestiere, suonando fino a notte fonda nelle orchestrine. “Quella gavetta si sente ancora oggi, quando salgo sul palco”, sottolinea con orgoglio.
E se in tanti giovani artisti quella preparazione sembra mancare, Zucchero non esita a dirlo. “Oggi manca anche la forza di andare contro il sistema, un ruolo che una volta spettava al rock. Ora è un genere annacquato. Meglio i rapper come Marracash e Salmo, loro sì che hanno ancora qualcosa da dire”, afferma, senza mezze misure.
Nel suo concerto romano, però, ci sarà spazio solo per la musica. “Non farò grandi discorsi su Putin o Trump. A volte, parlare troppo è rischioso: non sai mai chi hai davanti. E poi, diciamocelo, noi artisti ci siamo un po’ disillusi. Abbiamo perso quella voglia di cambiare il mondo. Ma lascerò parlare le canzoni. Non sono un influencer, non sono un ruffiano. Porto acqua al mio mulino solo con la musica”.