Muhammad Ali torna a Roma. Lo fa sul palcoscenico del teatro di Villa Lazzaroni in mezzo al piccolo e dolce parco su via Appia. Questo Ali è interpretato da Francesco Di Leva con la regia di Pino Carbone. Fra gli autori ci sono i giornalisti Anna Maria Di Luca e Fausto Narducci. L’appuntamento è stasera, 30 maggio, alle 21.
Ma nel momento in cui si torna a raccontare il pugile scomparso nel 2015, una delle figure più grandi della storia dello sport, e non soltanto per le sue vittorie, una domanda ci prende: quante ragazze e ragazzi conoscono oggi la storia di Ali? Il suo titolo olimpico a Roma, il titolo mondiale dei massimi, i mitici match con Frazier e Foreman, ma anche la clamorosa protesta contro il razzismo che lo portò a lanciare l’oro di Roma in un fiume, il suo coraggioso rifiuto di combattere in Vietnam che gli costò tre anni cruciali della sua carriera, il suo cambio di identità da Cassius Clay appunto ad Ali quando abbracciò la religione musulmana, le mille battaglie per i diritti in un’America e in un mondo che camminavano al rallentatore su questo fronte.
La risposta non è proprio incoraggiante. Almeno a giudicare da alcune esperienze di cui siamo stati testimoni in qualche scuola. E allora ben venga questo Ali di stasera e i mille Ali a cinema o in libreria o sul palcoscenico. E i tanti ricordi che lo legano a Roma, la città dove diventò grande. Ci arrivò da ragazzino, poco più che maggiorenne, vinse il titolo dei mediomassimi, diventò il “sindaco” del Villaggio Olimpico per la sua capacità di attaccare bottone con tutti, lunghi assoli ancora un po’ ingenui ma straordinariamente coinvolgenti. Raccontano le cronache di qualche…inizio di avance con la velocista plurolimpionica Wilma Rudolph. Finito pare con un nulla di fatto. Il che non impedì all’allora Clay di girare per la zona olimpica con l’oro al collo stracarico di orgoglio. Francamente non abbiamo ma visto un sorriso così bello e solare come il suo il giorno dopo la vittoria in Piazza Grecia, nel cuore del Villaggio.
Clay, nel frattempo diventato Ali, tornò a Roma diverse volte. Nel 1979, di passaggio per andare a Torino, passò una mattinata al Colosseo accompagnato da Rino Tommasi. Tre o quattro anni dopo, invece, fu Gianni Minà il suo ambasciatore. Con tanto di foto immortale nella cena da “Checco er carrettiere” a Trastevere insieme con Sergio Leone, Robert De Niro e Gabriel Garcia Marquez. Un concentrato di talento e fama da record del mondo messo su da Gianni. Irripetibile.
Nel 1999 fummo anche noi testimoni nella Roma di Ali. Muhammad era già malato di Parkinson, tre anni prima aveva acceso il fuoco olimpico di Atlanta sfidando il tremore del morbo. Andò a Comiso, in Sicilia, per ritirare un premio e poi a Roma fu ricevuto tra gli altri dall’allora premier Massimo D’Alema. A seguirlo come un’ombra Nino Benvenuti, pure lui oro olimpico 39 anni prima. Ali sorprese tutti quando cominciò a ballare un accenno di tip-tap, un’eredità sopravvissuta al suo leggendario muoversi sul ring. Nel suo sguardo, questa l’impressione che ci fece, c’era tutto il mondo: la sua capacità di spiegarlo, viverlo, attraversarlo, la fierezza delle vittorie, la denuncia delle sue sofferenze.
Sí, Ali non va dimenticato. Soprattutto a Roma, che è stata un pezzo fondamentale della sua storia e della sua vita.