Spesso si abusa di retorica nel racconto della vita dei grandi sportivi, di quelli paralimpici in particolare, una narrazione distorta dal naturale istinto di avere dei modelli a cui guardare con ammirazione, degli eroi da cui trarre ispirazione.
Ebbene, Alex Zanardi un eroe lo è davvero, e non serve alcuna retorica per lasciarsi trasportare dal modo con cui ha affrontato ciò che la vita gli ha messo davanti.
Pilota in primis, questo è stato Zanardi per tutti gli sportivi italiani fino al 2001. Accento bolognese d’ordinanza, sguardo furbo, una comparsata in Formula Uno a renderlo familiare anche a chi col mondo dei motori ha una conoscenza poco più che occasionale. Un mito però oltreoceano, due volte vincitore del campionato CART, nel 1997 e nel 1998, l’unico europeo insieme a Mansell a fregiarsi del titolo fino a quel momento. C’è un italiano che domina negli USA: ospitate al Late Show di David Letterman, spot in televisione, un sorriso che cattura: Alex diventa uno dei volti più noti nell’immaginario statunitense in quegli anni.
Poi arriva il settembre 2001. Una macchia d’olio sul rettilineo del circuito di Lausitz, in Germania, e la sua Honda che sbanda, senza controllo. Un’altra vettura che la centra in pieno e tutto sembra finire lì. Si racconterà anche dell’estrema unzione del cappellano del tracciato poco prima che il suo corpo già spezzato fosse caricato su un elicottero diretto verso l’Ospedale di Berlino. Un sottilissimo filo di vita che sembrava doversi spezzare da un momento all’altro lungo quel disperato viaggio, il dissanguamento come epilogo quasi inevitabile. Invece Alex si aggrappa a quel filo, e non lo molla. Quattro giorni di coma farmacologico, poi il risveglio e una nuova vita che inizia. Senza gambe.
Senza gambe, ma con la voglia di rialzarsi comunque. Sedici operazioni, sei settimane di ricovero, una lunghissima riabilitazione affrontata con coraggio, lo stesso coraggio che lo porterà appena tre mesi dopo quel terrificante schianto a presentarsi sul palco dei Caschi d’Oro, ad emozionare il pubblico, a far piangere il mondo, senza timore di issarsi incerto su quelle protesi nuove e ancora provvisorie, per tornare in piedi a guardarci negli occhi.
Qui parte il secondo capitolo della vita di Alex, un capitolo dove protagonista è ancora l’adrenalina che solo la velocità sa farti provare. Niente più volante, benzina e motori, quelli se li è portati via il destino, ma una handbike in fibra di carbonio che diventerà il nuovo naturale prolungamento del corpo di Alex. All’inizio quasi un gioco, un pretesto per tornare a sentire il vento nei capelli, poi qualcosa di più. Il talento c’è, la forza anche, sulla determinazione non c’è nemmeno da discutere. E allora le volate in giro per le campagne attorno a Camposampiero presto diventano gare e le gare diventano maratone internazionali. E soprattutto le partecipazioni diventano vittorie. Una dietro l’altra. New York, Roma, il gradino più alto del podio è di nuovo casa.
E’ allora che si schiudono le porte della Nazionale paralimpica, qualcosa di inimmaginabile fino a qualche mese prima. Alex entra in questo nuovo mondo quasi col timore non averne pieno diritto: “Non voglio indossare la maglia azzurra solo perché mi chiamo Zanardi”. Ma sono le medaglie a parlare per lui. Fino a Londra, fino alle Paralimpiadi del 2012. Quando un ex pilota quarantaseienne, salito per la prima volta su una handbike appena cinque anni prima, domina. Due ori nell’individuale, un argento nella staffetta e una immagine simbolo da regalare alla storia: il riscatto di un uomo che non si è arreso. Quattro anni dopo a Rio arriveranno altre tre medaglie, altri due ori, a renderlo uno degli atleti paralimpici più vincenti della storia moderna.
Ma non è per le vittorie che Alex diventa un simbolo. Non è per la sua forza fisica fuori dal normale, né per il talento. Né per il carattere spigliato ed estroverso, che ne farà anche un ottimo presentatore televisivo nella sua esperienza da divulgatore in Rai. Ma per la strada che ha scelto di percorrere lungo la sua vita. Una strada che lo porterà più volte a ringraziare il destino di avergli portato via le gambe, perché altrimenti sarebbe rimasto solo uno dei tanti – ripeteva spesso – mentre così può essere di aiuto, può essere un esempio per chi si ritrova ad affrontare una difficoltà, piccola o grande che sia, e non ha la forza. O crede di non averla.
Per questo Alex è e rimarrà sempre uno dei più grandi eroi moderni della nostra storia.