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Derby delle coreografie: quando il cuore batte sugli spalti prima ancora che sul campo

foto: Antonietta Baldassarre/INSIDEFOTO

Non esiste partita in Italia – e forse nemmeno in Europa – che abbia un’anima duplice così marcata come il derby della Capitale. Roma contro Lazio non è soltanto una sfida tra due squadre, quattro colori, due storie. È una battaglia di simboli, di orgoglio popolare, di poesia urbana che si consuma prima ancora del fischio d’inizio. È il “derby del tifo”, una sfida parallela, silenziosa eppure fragorosamente potente, combattuta non sul terreno di gioco ma dentro le viscere dello stadio, nei cuori delle due curve, tra i pennelli, le cuciture, le mani callose di chi lavora nell’ombra per creare uno spettacolo che – anche solo per un attimo – riesce a lasciare senza fiato.

È un attimo, eppure è eterno. Le squadre stanno per entrare in campo, il brusio cresce, gli occhi si spostano dalle panchine alle balaustre. Poi un cenno, un fischio, un segnale. E in un solo secondo, la curva si trasforma. Si sollevano teloni che sembrano vele da regata pronte a solcare mari di cemento. Si issano cartoncini che diventano mosaico vivente, messaggi d’amore, di appartenenza, di identità. Non sono slogan, sono dichiarazioni d’esistenza, sono la voce di migliaia di persone che, anche senza parlare, gridano chi sono.

Dietro ogni coreografia c’è un mondo segreto e laborioso. Riunioni in seminterrati, telefonate fitte, disegni tracciati su fogli che diventano progetti di battaglia. Poi le collette, le raccolte fondi, i giri nelle tipografie e nei capannoni fuori città. Giorni e notti passati a cucire, a dipingere, a piegare. Nessuno deve sapere. Nessuno deve vedere. Perché nel derby del tifo, la vittoria inizia con la sorpresa. “Meno gente ci lavora, meglio è”, confessa un vecchio romanista, tra gli artefici della meraviglia che avvolse la Sud nel novembre del ’94, quando seimila cartoncini rossi e arancioni incorniciarono dieci colossali strisce di stoffa che ricreavano lo stemma della Roma. Quel giorno, Giannini guidò la squadra a una vittoria schiacciante. Ma prima del 3-0 in campo, c’era stato il trionfo sugli spalti.

Anche la Nord ha la sua epopea. Il 6 ottobre 1991, l’idea di coprire l’intera curva con un telone e la scritta “100/100 Lazio” fu una dichiarazione di guerra artistica. Il messaggio era chiaro: in quei novanta minuti, la Lazio viene prima di tutto. Nacque così il “derby degli stendardi”, una mobilitazione popolare con chilometri di stoffa e migliaia di mani pronte a sventolare il proprio amore. Due anni dopo, il cielo si tinse di biancoceleste con settemila drappi sollevati in simultanea. Un colpo d’occhio che ancora oggi risuona nella memoria.

Il derby si vince anche così. Non solo con i gol, ma con la pelle d’oca. Con la voce che si rompe nel canto. Con le lacrime che scendono non per una sconfitta, ma per l’emozione di aver fatto parte di qualcosa che va oltre il calcio. Una coreografia non è solo una scenografia: è un racconto collettivo, una dichiarazione d’amore che si vede e non si dimentica. È Roma. È Lazio. È passione che prende forma.

Sicuramente c’è un modo per perdere un derby ad occhi chiusi: quello della violenza. Ricordiamo nello scorso derby del 5 gennaio il sequesto da parte delle forze dell’ordine di spranghe, lance, bastoni, addirittura ombrelli rinforzati il cui colpo sferrato sarebbe potuto essere fatale per qualcuno, da una parte o dall’altra. Pericoli che oggi non vengono solo dalla città, ma partono addirittura dall’estero.

In curva Nord, al fianco degli ultrà laziali, sono attesi circa cento tifosi del Levski Sofia, gruppo noto per le sue posizioni neofasciste e per un legame con la tifoseria biancoceleste che dura da decenni. Una fratellanza cementata nel tempo, nutrita da una comune visione del tifo e da radici ideologiche condivise. Non saranno però gli unici ospiti europei della serata: sempre nella Nord è prevista anche la presenza dei “Bad Blue Boys” della Dinamo Zagabria, gruppo croato storicamente vicino agli ambienti ultrà laziali.

Dall’altra parte, in curva Sud, sarà invece presente una delegazione del Gate 13 del Panathinaikos, storici gemellati con la tifoseria romanista. Anche qui, si parla di una lunga storia di vicinanza, scambi, striscioni esposti reciprocamente e presenze incrociate nei rispettivi derby di Atene e Roma. Una rete di relazioni che supera i confini nazionali e che trasforma il derby in un evento che coinvolge più città, più cuori, più storie.

Fare appelli di buonsenso sembra ormai totalmente inutile. Con la possibilità di scontri fisici lontani dallo stadio per la minor presenza di controlli, la questura di Roma cerca di monitorare i flussi dei tifosi nella città a partire dai giorni scorsi. Roma oggi vive in un clima silenzioso quanto blindato, annullato solo dal passaggio di elicotteri che controllano la situazione dall’alto.

Il nostro appello lo facciamo comunque qui, non lasciamo nulla di intentato. Concentriamoci sulla coreografia e godiamo alla sua visione, limitiamoci allo sfottò sano del dopopartita, arriviamo con le nostre critiche di domattina nei bar, negli uffici, alla posta. Ma evitiamo gli scontri, evitiamo di farci male e di affollare gli ospedali. Lasciamoli liberi per coloro che ne hanno bisogno fino al punto di dire, come abbiamo ascoltato nei tifosi, mi piacerebbe, per una volta, essere nell’altra curva per vedere la nostra coreografia risplendere. Ma forse è troppo bello farne parte.