La stagione calcistica dell’AS Roma, caratterizzata da sconfitte, mancanza di coesione in campo e continui cambiamenti nello staff tecnico, ha generato un senso di umiliazione e sconforto tra i suoi tifosi. Il processo psicologico alla base di questa reazione è complesso, coinvolgendo diversi aspetti emotivi e cognitivi tipici del tifo e dell’identificazione con la squadra. Analizziamo quindi le componenti principali di questa umiliazione, considerando come le continue sconfitte, il crollo delle aspettative e il caos gestionale stiano influenzando il morale e la percezione dei tifosi romanisti.
L’umiliazione provata dai tifosi dell’AS Roma è il risultato di una profonda identificazione con la squadra. Il tifoso si lega alla squadra come fosse un’estensione della propria identità: vittorie e sconfitte del club vengono vissute come traguardi e fallimenti personali. Quando una squadra non riesce a rispecchiare le aspettative dei propri tifosi e continua a collezionare risultati negativi, si verifica un fenomeno di “vergogna vicaria,” in cui il tifoso si sente mortificato per il proprio legame con un gruppo che, per molte ragioni, si percepisce come “non all’altezza”.
Il continuo turnover degli allenatori, quattro in un solo anno, ha ulteriormente destabilizzato la squadra. Ogni tecnico porta con sé personalità, un sistema di gioco differente e strategie di allenamento diverse, che i giocatori faticano a metabolizzare in così poco tempo. Complice anche un atteggiamento ostativo da parte degli atleti, riportati in alcuni casi dalle “cronache di spogliatoio”, questa continua instabilità tecnica influisce negativamente anche sulla concentrazione e la motivazione degli stessi, che non riescono a trovare la propria identità in campo o approdano ad un approccio superficiale nei confronti di quel tutt’uno, forse tipico della piazza giallorossa, che comprende campo di gioco-squadra-tifosi.
Per i tifosi, questo rappresenta un tradimento dell’impegno che dovrebbe esserci da parte dei giocatori stessi. Tifiamo solo la maglia, l’ultimo coro collegiale di una scellerata partita Roma-Bologna, atto ultimo prima della defenestrazione di Ivan Juric, allenatore forse non all’altezza delle aspettative, ma sicuramente non unico responsabile di questo inglorioso andamento.
La frustrazione dei tifosi è acuita dal vedere una squadra senza una chiara visione tattica e priva di continuità. La scarsa preparazione fisica e tecnica, dovuta anche a allenamenti lacunosi, porta a prestazioni mediocri in campo, creando un circolo vizioso che aumenta il sentimento di rabbia e umiliazione dei sostenitori. Il tifoso si sente tradito, convinto che i giocatori stessi non stiano facendo tutto il possibile per ottenere buoni risultati, e questo provoca un’ulteriore alienazione tra squadra e pubblico.
Ma, si sa, a Roma “il pesce puzza dalla testa”, la dirigenza non è esente da tutto questo. La mancanza della presidenza in continuo tour attorno al mondo, una direzione generale che non traccia i confini di un progetto, fosse pure di un obiettivo secondario, un piano di lavoro, una previsione nel tempo bene definita.
La posizione bassa in classifica è il riflesso delle prestazioni deludenti e della disorganizzazione societaria prima di tutto e tecnica come logica conseguenza di mancanza di dirigenti. Una classifica disastrosa diventa simbolo di un fallimento collettivo, che mina l’autostima dei tifosi e li porta a interrogarsi sulla propria passione per il club. La psicologia del tifo indica che il senso di appartenenza e l’orgoglio di essere tifosi derivano dai successi e dalle soddisfazioni che la squadra riesce a generare. Quando, al contrario, i risultati sono deludenti, questi sentimenti si trasformano in delusione e vergogna, sfociando in un distacco emotivo che non interpreta più la squadra, maglia e colori come un insieme, ma lo scoramento e la rabbia dissocia portando i colori sociali come unico riferimento possibile.
I tifosi si trovano dunque in un dilemma psicologico: da un lato c’è la lealtà, dall’altro la frustrazione dovuta ai continui insuccessi. Questa dicotomia emotiva amplifica l’umiliazione percepita e mina la fiducia nei confronti del team.
La mancanza di giocatori chiave, con ruoli strategici rimasti scoperti, è un altro elemento che contribuisce al sentimento di impotenza e umiliazione dei tifosi. Per una squadra di calcio, avere una formazione completa e ben bilanciata è essenziale per mantenere la competitività; i tifosi percepiscono la mancanza di giocatori adatti in ruoli cruciali come una carenza di ambizione e impegno da parte della società.
Senza un centrocampo solido, una difesa organizzata e un attacco efficace, la Roma è costretta a schierare giocatori fuori ruolo, con seconde o terze scelte, talvolta scelte obbligate, con prestazioni che peggiorano ulteriormente la percezione dei tifosi.
Nonostante le difficoltà, molti tifosi continuano a mostrare sopportazione, alimentata dalla speranza di un futuro migliore per la squadra. Ma quando questa speranza viene tradita da una cattiva gestione e da risultati disastrosi, la frustrazione diventa inevitabile. La percezione negativa si trasforma in una sorta di “dolore costante” che il tifoso è costretto a portare con sé, alimentato dalla continua speranza di un cambiamento che, però, tarda ad arrivare.
Ed intanto ieri, atto ultimo di questo campionato scellerato, i tifosi, per la prima volta dopo tanti anni, hanno smesso di cantare, hanno ammainato le loro bandiere, si sono girati di spalle, sono usciti, lasciando quegli undici giocatori sul prato verde, andare verso la mestizia di un ennesimo risultato deludente.
Ciao Mr. Juric, avanti il prossimo.