Federico Riva da piccolo giocava nella Roma, lui che è romanista “sfegatato” e che appena può va a seguire la sua squadra del cuore in Curva Sud.
A 13 anni l’atletica: un anno di allenamenti “un po’ e un po’” prima della scelta di dedicarsi soltanto alla corsa. Arrivano i primi risultati (settimo nel 2015 nel suo primo campionato nazionale), arrivano i primi podi e le prime nazionali giovanili. Poi la scelta di allenarsi a Varese e la disillusione che lo spinge a mollare l’atletica. Per fortuna sua e dell’atletica italiana, Vittorio Di Saverio lo vuole accogliere nel suo gruppo di mezzofondisti di alto livello. Lì la svolta, con Federico che diventa man mano l’atleta che è oggi: 4 titoli italiani assoluti e le Olimpiadi di Parigi all’attivo.
Una storia molto bella, che ci dimostra come tutto può succedere o “non succedere” a causa di una chiamata o di una “non chiamata”: Federico aveva davvero deciso di chiudere con l’atletica prima di entrare nel gruppo di Di Saverio. Le sliding doors della vita.
A causa delle gare, spesso Riva non ha potuto seguire la Roma. Ad esempio, nonostante avesse i biglietti per la finale di Europa League di due anni fa, non poté andare a seguirla a causa di una gara in Francia sbucata all’ultimo. Lì si scopre l’importanza della famiglia dietro ad un grande atleta: il papà ed il fratello, a sorpresa, vanno allo stadio, sì, ma quello in cui corre Federico, rinunciando a loro volta alla finale europea con la squadra giallorossa.
Grandi rinunce, grandi difficoltà: così è la vita di un atleta professionista. Poi, però, quando entri in pista e vedi quei 5 cerchi, scopare tutto, ed il mezzofondista delle Fiamme Gialle lo sa bene.