Presentato al CC Aniene il primo libro della Lega dei Collezionisti. Il presidente: “Il nostro un patrimonio immenso, ma poco valorizzato”.
Non chiamateli antiquari. “Attraverso la storia di un cimelio, è possibile ripercorrere la storia di una comunità che in quell’oggetto si riconosce. Parte della società, questo gioco non è solamente il prodotto di quest’ultima, ma a sua volta contribuisce a determinare il mondo che lo circonda”. Agostino Lattuille ha ben chiaro quale sia il valore, profondo, di un museo e degli oggetti che vi sono raccolti: conservare, al fine di trasformarli con raziocinio, i valori fondanti di una comunità, per far sì che il presente poggi su solide basi e il futuro sia dotato di senso. Il presidente della Lega dei Collezionisti, che la sera di mercoledì 23 novembre ha presentato al Circolo Canottieri Aniene “Un amore chiamato calcio”, il primo volume edito dall’associazione e in uscita nei primi giorni di dicembre, è il portavoce di un gruppo di eterni ragazzi che amano follemente il gioco del pallone. Tanto da avergli dedicato, oltre a un bel po’ del proprio tempo, pure un fetta consistente dei propri risparmi. Per il soddisfare un proprio piacere, certo. Ma sempre con un obiettivo chiaro nella mente: rendere un servizio per la comunità sportiva.
Il luogo scelto per la presentazione del volume è adatto a coloro che tengono le fila del discorso. Di storia dello sport si parla. E lo si fa all’interno di un circolo fondato nel 1892, l’Aniene, che è testimone delle origini fiumarole spesso elitarie, piccoli borghesi di rado, dello sport romano degli albori. Nella sala conferenze, allestita con una esposizione di maglie storiche della Nazionale e di club italiani più o meno grandi ma tutti gloriosi, al microfono del giornalista Stefano De Grandis prendono la parola fra gli altri il Presidente Lattuille, tifoso viscerale della Lazio; il collezionista David Bini, spasimante della Fiorentina; il cultore del Napoli Nino Mosca. Agostino, David e Nino sono le colonne portanti della Lega dei Collezionisti. Fondata nella primavera del 2022, la Lega è stata poco dopo ricevuta con tutti gli onori a Coverciano, dal presidente del Museo del Calcio della Figc Matteo Marani.
“L’obiettivo primario della nostra associazione – ha spiegato Lattuille, che con Giancarlo Oddi ha presentato una piccola collezione di maglie dell’ex calciatore della Lazio – è quello di proteggere la passione di tutti gli appassionati dai falsi e dalle contraffazioni di cui oggi il mercato del collezionismo è pieno. Internet ha portato fantastiche opportunità. Tuttavia, chiunque può diventare un collezionista e questo comporta dei rischi. La qualità media delle collezioni si è abbassata notevolmente. Paradossalmente però sono aumentati anche i costi per acquistare i pezzi: tutto è divenuto business e con le aste di cimeli, anche falsi, si può guadagnare tanto”.
Cosa chiedono, i collezionisti? Tutela dei loro sentimenti. La passione ha un costo. Non è un investimento volto a generare profitto. “Disponiamo di un patrimonio immenso – così Lattuille – che deve essere salvaguardato, sì, ma anche valorizzato. Valorizzato non a fini speculativi. Piuttosto, in termini culturali. In Gran Bretagna la federazione e i club investono sulla storia. Tutte le squadre hanno il loro museo. Nelle società si respira la tradizione del club. In Italia, spesso non è così”. Il saper innovare nel segno della tradizione è parte integrante dell’identità britannica (seppur, va detto, la Premier League sia la quintessenza dell’assolutizzazione capitalistica del calcio e della strumentalizzazione della cultura, al fine di generare profitto). In Italia invece mancano i musei. Mancano i soldi, perché dirottati verso più luccicanti valorizzazioni. Mancano prima di tutto le idee. Latita una visione condivisa della propria storia nazionale, all’interno della quale le storie delle singole comunità locali acquisiscono senso e possono essere “valorizzate”. L’Italia è paese di memorie divise, ripudiate, rimosse: lo sport fa parte della vita quotidiana e non può certo scampare questa sorte.
“Il mondo di oggi – la considerazione agrodolce di Bini, anima e corpo del Museo della Fiorentina, nonché membro del comitato scientifico del Museo del Calcio – è molto diverso da quello in cui siamo cresciuti noi. Per me, che ho cominciato a collezionare da ragazzo nel 1979, questi oggetti, queste maglie erano tutto. Erano il calcio. Oggi un ragazzo, prendendo in mano un telecomando, può saltare da una partita all’altra senza alcuna difficoltà. All’epoca, le partite le vedevi solo allo stadio. Sono consapevole che le mie figlie probabilmente non tramanderanno la mia passione. Tuttavia, il valore di quanto ho fatto resta e resterà a prescindere da chi lo porterà avanti”. Con poche battute, dal punto di osservazione del collezionismo sportivo, ecco tratteggiare da Bini una delle grandi questioni del nostro tempo: l’affievolirsi della trasmissione di valori e di tradizioni condivise fra le generazioni. Tradizione, nonostante le apparenze, non fa rima con reazione. Allo stesso tempo, spesso si fa troppo presto a parlare di memoria. Senza una seria riflessione sull’autenticità e la verità di ciò che si vuole trasmettere, anche il più nobile degli ideali può finire per venire strumentalizzato e persino capovolto.
Il rapporto tra denaro e collezionismo sta alla base dell’intervento del napoletano Mosca: “In questo mondo del calcio io non mi riconosco più. Oggi è così. Andiamo avanti. Però dove arrivano i soldi, ecco che come al solito cominciano i problemi… Una volta, per ottenere un maglia, un cimelio, che si faceva? Si andava al mercatino. Oppure, si tenevano rapporti d’amicizia con i calciatori o qualcuno all’interno delle società. Oggi, con internet, tutto è diventato business. Abbiamo fatto scuola paradossalmente: il Napoli Calcio, ad esempio, ha compreso il valore delle maglie. Della bellezza di poterle collezionare. Però cosa fa? Ne produce dieci-quindici l’anno e poi le mette all’asta su una piattaforma digitale. Una maglietta, di cui esistono tante copie tutte uguali, può costare in pochi giorni 5.000 euro! Più di una maglia storica. Impossibile stare dietro a tutto ciò, anche economicamente. Così il vero collezionista ci rimette”.
Una volta le maglie da calcio erano dei pezzi unici. Manufatti artigianali al tempo dei pionieri, poi sono state fabbricate in serie: però erano sempre fatte per durare. Per decenni le società, strette pure dalla morsa di asfittici bilanci, risparmiavano il più possibile sul materiale tecnico, che veniva riusato più volte nel corso del campionato. Quelle stoffe divenivano così inimitabili col passare degli anni, delle irripetibili istantanee del tempo che l’aveva prodotte. Tali cimeli, per un collezionista sportivo, sono l’equivalente di un’opera d’arte.
In seguito all’ingresso selvaggio degli sponsor nel mondo del pallone, origine della rivoluzione di valori e costumi che il fluire del denaro da sempre porta con sé, un calciatore oggi dispone di almeno un paio di divise con sopra stampato il proprio nome. Non all’anno: per ogni partita. Poche saranno riutilizzate, molte scambiate con i colleghi o regalate ad amici e parenti. Senza contare quelle realizzate, a migliaia, col solo obiettivo di essere vendute. Nell’epoca della riproducibilità tecnica, come intuiva il filosofo Walter Benjamin nel 1936, l’opera d’arte perde la sua aurea perché può essere clonata infinite volte. Il collezionista tifoso, di fronte agli eccessi del marketing e del denaro, che della moltiplicazione infinita dei modelli di consumo e dei generi di vita costituisce l’essenza, se non il suo amore per i cimeli, smarrisce quantomeno la passione per il calcio del presente, percepito come finto. Inautentico. Con il distacco dall’oggi, progressivamente viene meno anche la fiducia verso il futuro.